domenica 16 ottobre 2016

16 ottobre 1793

"Ha potuto ottenere due candele, un foglio di carta, una penna e l'inchiostro. Mentre Busne sonnecchia in un cantuccio della cella, Maria Antonietta siede davanti al suo tavolino di legno bianco, e quella donna, che ha or ora finito di vivere due giorni e una notte di dibattiti, quella donna minata da emorragie, che ha subito un'ultima udienza di più di venti ore, quella donna, aspettando il carnefice, scriverà questa lettera stupenda che bisogna rileggere" (André Castelot)


L'ultima missiva di Maria Antonietta. Dipinto
 di Battaglini copia di un originale di Danloux
" A dì 16 Ottobre alle 4 e mezzo del mattino.

E' a voi sorella mia che scrivo per l'ultima volta. Sono stata condannata non a una morte vergognosa, essa non è tale che per i delinquenti, ma a raggiungere vostro fratello. Innocente come lui, spero di mostrare la stessa sua fermezza negli ultimi momenti. Sono calma come lo si è quando la coscienza non rimprovera nulla; ho un profondo dolore d'abbandonare i miei poveri bimbi, voi sapete ch'io non esistevo che per loro e per voi, mia buona e tenera sorella. Voi che avete per la vostra amicizia sacrificato tutto per essere con noi, in che posizione vi lascio! Ho appreso durante il processo che mia figlia è separata da voi. Ahimè! povera bimba, non oso scriverle, ella non riceverebbe la mia lettera, non so nemmeno se questa vi perverrà; ricevete per loro due la mia benedizione, spero che un giorno, quando saranno più grandi, potranno riunirsi con voi e godere interamente delle vostre tenere cure; pensino essi a tutto quello che io non ho cessato d'ispirar loro, che in principii e l'esecuzione esatta dei propri doveri sono la prima base della vita, che la loro amicizia e la loro scambievole fiducia ne farà la felicità. Mia figlia deve sentire come sia suo dovere, data la sua età, aiutar sempre suo fratello con i consigli dell'esperienza ch'essa ha in più di lui e che la sua amicizia potrà ispirarle; e mio figlio, da parte sua, renda a sua sorella tutte le cure, i servizi che l'amicizia può ispirare; sentano entrambi, infine, che in qualunque posizione vengano a trovarsi, essi non saranno veramente felici che grazie alla loro unione; prendano esempio da noi, quanta consolazione, nelle nostre disgrazie, ci è venuta dalla nostra amicizia, e nella gioia si gode doppiamente, quando si può dividerla con un amico, e dove si può trovarne di più teneri, di più uniti che nella propria famiglia?
Mio figlio non deve mai dimenticare le ultime parole di suo padre che io gli ripeto espressamente: non cerchi mai di vendicare la nostra morte. Debbo parlarvi d'una cosa molto penosa per il vostro cuore, so quanto quel bimbo deve avervi dato pena; perdonatelo, mia cara sorella, pensate alla sua età e some sia facile far dire a un bambino quello che si vuole, mettergli sulle labbra parole ch'egli non comprende. Verrà un giorno, lo spero, nel quale egli sentirà maggiormente tutto il valore della vostra bontà e della vostra tenerezza per tutti e due. Mi rimane da confidarvi i miei ultimi pensieri, avrei voluto scriverli al principio del processo; ma oltre al fatto che non mi lasciavano scrivere, l'incalzare degli avvenimenti è stato così rapido che non ne ho avuto realmente il tempo.
Io muoio nella religione cattolica, apostolica e romana, in quella dei miei padri, in quella nella quale sono stata allevata, e che ho sempre professata; non avendo nessuna consolazione spirituale da aspettare, non sapendo se esistano ancora qui preti di questa religione e, anche se ciò fosse, il luogo in cui mi trovo li esporrebbe troppo se v'entrassero una volta, io chiedo sinceramente perdono a Dio di tutti gli errori che ho potuto commettere da quando esisto; spero che nella sua bontà vorrà accogliere i miei ultimi voti, come quelli che ho fatto da molto tempo perché voglia ricevere la mia anima nella sua misericordia e nella sua bontà. Chiedo perdono a tutti quelli che conosco e a voi mia sorella in particolare, di tutte le pene che senza volerlo ho potuto causar loro. Perdono a tutti i miei nemici il male che mi hanno fatto. Dico qui addio alle mie zie e a tutti i miei fratelli e sorelle. Avevo degli amici, l'idea di d'esserne separata per sempre e le loro pene sono uno dei più grandi rimpianti ch'io porto con me morendo; sappiano almeno che sino all'ultimo istante ho pensato a loro.
Addio, mia buona e tenera sorella; possa questa lettera giungervi. Pensate sempre a me, vi bacio con tutto il cuore, così come quei poveri e cari bambini; Dio mio, com'è lacerante lasciarli per sempre! Addio, addio, non mi occuperò più che dei miei doveri spirituali, siccome non sono libera delle mie azioni, mi porteranno forse un prete, ma protesto qui che non gli dirò una parola, e che lo tratterò come un essere assolutamente estraneo...."


Qui in basso la lettera conservata all'Hotel Soubise che ospita gli Archivi Nazionali. Presumibilmente Maria Antonietta piangeva mentre scriveva e infatti si possono notare dei buchi e delle macchie.




La lettera, indirizzata alla cognata Elisabeth, è l'ultima missiva della regina. Alcuni storici ancora oggi ne dibattono l'autenticità ma alcuni punti non lasciano dubbi sulla sua veridicità.
Per esempio: la regina, da quanto emerge da questo prezioso documento, era certa che la figlia fosse stata separata dalla zia. Mentre sappiamo che Madame Royale fu separata da Madame Elisabeth, diversi mesi dopo la morte della madre. Zia e nipote furono però interrogate separatamente prima del processo della regina, per quanto riguardava l'infamante accusa di incesto tra la povera Maria Antonietta e il piccolo Luigi Carlo. Di qui probabilmente l'errore della regina che credette separate le due principesse anche al Tempio. Se il documento fosse davvero un falso nato in epoca di Restaurazione, un ipotetico falsario non sarebbe certamente incappato nell'equivoco in cui incappò la regina.

Considerato il testamento spirituale di Maria Antonietta, il documento rimase sconosciuto per ventuno anni. Scrive infatti S. Zweig:

"Questa lettera dall'ombra non ha più raggiunto coloro a cui era rivolta. Maria Antonietta, poco prima che entri il carnefice, la consegna al carceriere Bault, perché la faccia pervenire alla cognata. Bault aveva avuto umanità sufficiente per non negarle il foglio e la penna, ma non ha poi il coraggio bastante a consegnare, senza permesso, quel sacro pegno (quante più teste si vedono cadere, tanto più si tiene cara la propria!).
Egli quindi, in omaggio ai regolamenti, dà la lettera della regina al giudice istruttore Fouquier-Tinville, che non la spedisce; e quando, due anni dopo, Fouquier dovrà a sua volta salire sulla carretta che egli ha mandato per tanti altri alla Conciergerie, quello scritto è sparito. Nessuno al mondo ne conosce l'esistenza fuorché un personaggio di nome Courtois, del tutto insignificante.
Questo deputato, senza autorità e senza ingegno, aveva avuto dalla Convenzione, dopo l'arresto di Robespierre, l'incarico di ordinare e pubblicare le sue carte: in tale occasione quel fabbricante di zoccoli aveva compreso con stupore quando potere uno abbia in sua mano appropriandosi di documenti politici segreti.
Infatti tutti i deputati compromessi circondano e corteggiano con zelo umilissimo il piccolo Courtois, che prima a mala pena si degnavano di salutare. Gli fanno le proposte più folli purché restituisca loro le lettere inviate a Robespierre. Sarà dunque un buon affare, pensa l'abile commerciante, raccogliere nei cassetti quanta più corrispondenza politica si può; egli approfitta quindi del caos generale per saccheggiare i documenti del tribunale rivoluzionario e farne commercio: quel furbone conserva soltanto la lettera di Maria Antonietta che gli capita appunto in mano. Non si sa mai, in tempi simili, se dovesse voltare il vento, a che cosa possa tornare buono un documento segreto di tanto valore.
Per venti anni tiene nascosto il suo bottino, ed ecco che infatti il vento gira: c'è di nuovo un Borbone, Luigi XVIII, come re di Francia, e gli ex regicidi, coloro che hanno votato la decapitazione del fratello, Luigi XVI, sentono uno strano prurito al collo.
Per acquistarsi i favori regali, Courtois offre in dono a Luigi XVIII (gran bella idea rubare carte!), accompagnandolo con una ipocrita lettera servile, questo scritto di Maria Antonietta, da lui pietosamente "salvato".
La meschina astuzia non gli giova molto. Courtois è bandito insieme agli altri, ma la lettera rimane. Ventuno anni dopo che la regina l'ha scritto, viene alla luce questo bellissimo congedo....". 

Qui in basso una copia manoscritta (fine del XVIII secolo, l'originale è scomparso) contenente il primo testamento della regina; testamento a quanto sembra scritto in data 5 settembre 1793 poco dopo il fallito tentativo di fuga. Questo primo testamento sarebbe la prima versione dell'ultima lettera della regina.
Rimasta pressoché sconosciuto alla ricerca storica, questa prima versione del testamento fu pubblicata da Regnault-Warin nel 1800, mentre alcuni stralci furono pubblicati su un giornale parigino, La Quotidienne (21 février 1816). Il silenzio della storiografia ufficiale contribuì lentamente a screditare questa prima versione nonostante sia la forma che la sostanza dello scritto ne garantiscano l'autenticità.



Più controverse invece le poche righe scritte dalla regina sul suo libro di preghiere conservato oggi alla Biblioteca di Chalons (il biglietto che si trova al Caffè Procope è una copia manoscritta).
Alla pagina 219 del libro vi si legge un pensiero rivolto ai figli, scritto alle 4 e mezza del mattino, praticamente nello stesso orario dell'ultima lettera, il che mette non pochi dubbi sull'autenticità di questa reliquia:

"Mio Dio, abbiate pietà di me! I miei occhi non hanno più lacrime da versare per i miei poveri figli. Addio, addio!"

Il libro di preghiere con le poche righe scritte dalla regina, in una vecchia foto 


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