venerdì 26 dicembre 2014

Il passo scivolato di Versailles

Jean-Georges Noverre, maestro di danza
e portamento dell'arciduchessa Maria Antonietta
Al fine di far assimilare alla piccola Antonia l'atmosfera rarefatta e sofisticata di Versailles, Maria Teresa chiamò a sé il coreografo Noverre, già coreografo presso la corte del duca di Württemberg a Stoccarda.
Noverre si dedicò ad un vero e proprio restyling avendo cura di insegnare alla giovanissima Maria Antonietta il 'passo scivolato di Versailles': un passo che dava l'illusione di non toccare il pavimento, complici anche gli abiti a guardinfante. Per dare un'idea di come dovesse essere questo passo, alcuni coreografi portano ad esempio gli Angeli del secondo Atto dello Schiaccianoci di Tchaikovsky.
Il movimento era totalmente eseguito dal ginocchio in giù, in punta di piedi avendo cura di non toccare il pavimento con il tacco; busto rigido proteso in avanti tenendo le cosce e i ginocchi morbidi, camminando a piccoli rapidi passi sempre in punta di piedi.


Qui la danza degli Angeli dal secondo atto dello Schiaccianoci:


La regina in un bozzetto di Louis-René Boquet

mercoledì 24 dicembre 2014

Alberi e presepi reali

La regina Maria Leszczynska
A Versailles il primo albero di Natale fu installato per volere della regina Maria Leszczynska nel 1738. Maria aveva probabilmente assimilato la tradizione in Alsazia, regione nella quale aveva vissuto a lungo con il padre. Per molto tempo infatti, la tradizione dell'albero di Natale rimase tipica delle regioni a nord del Reno, mentre era meno diffusa nelle regioni germaniche più a sud, dove i cattolici lo consideravano un'usanza protestante (il primo albero di Natale fu voluto da Martin Lutero). Per illuminarlo venivano utilizzati gusci di noce riempiti di olio nel quale venivano posti degli stoppini accesi. L'albero a Versailles non ebbe un particolare successo; si dovette aspettare il 1840, quando la principessa Helene di Mecklenburg, duchessa di Orleans, lanciò l'usanza a Parigi, presto assimilata dall'imperatrice Eugenia.

Alla corte di Maria Teresa c'erano altre tradizioni legate al Natale: il giorno di San Nicolò (6 dicembre) l'imperatrice lo trascorreva in famiglia. I bambini ricevevano in dono giocattoli e dolci, e anche una frusta fatta con rametti di betulla che, secondo la tradizione nordica, san Nicolò porta ai bambini per rimproverare loro le mancanze commesse durante l'anno. Anche gli adulti ricevevano regali: le dame, in un'occasione, ebbero 5850 fiorini ciascuna. Non si facevano invece regali in occasione del Natale (contrariamente a quanto si possa pensare infatti, le strenne non erano i regali di Natale ma di Capodanno). Nelle corti questa ricorrenza non si festeggiava in famiglia ma in chiesa. Maria Teresa si preparava a questi momenti con gli esercizi spirituali, partecipando con la famiglia ai riti religiosi di Natale nel duomo di Santo Stefano.


Il Baumkuchen

Il Baumkuchen è un dolce natalizio tipico tedesco (e di tutto il nord Europa), all’apparenza una ciambelletta piuttosto alta, glassata di cioccolato (fondente o al latte). Al suo interno una stratificazione di pasta ricca di uova, zucchero e marzapane. Tagliato per lungo appariranno fette delicatamente venate, come il legno di ciliegio; tagliato in orizzontale si avranno delle fette tonde, con tanti anelli concentrici, proprio come gli alberi. Di qui, con teutonica consequenzialità, il nome: “Baumkuchen”, “Albero-torta”.
La variante austriaca del Baumkuchen, il Prügelkrapfen, era un dolce tipico delle festività natalizie alla corte di Maria Teresa, un dolce che sicuramente Maria Antonietta gustò nell'infanzia.

Qui in basso un'illustrazione tratta da un libro di cucina del 1719 di Conrad Hagger, Neues Saltzburgisches Koch-Buch, rappresentante il Prügelkrapfen servito alla corte di Carlo VI, nonno di Maria Antonietta.





sabato 6 dicembre 2014

Il giorno di San Nicolò

Un delizioso gouache (guazzo, tipo d'acquarello) realizzato dall'arciduchessa Maria Cristina (in famiglia chiamata Mimi) che rappresenta il giorno di San Nicolò (6 dicembre) dell'anno 1762. In alcuni paesi nordici ancora oggi è usanza che i bambini ricevano doni per quel giorno. 


L'acquarello mostra la famiglia imperiale raccolta intorno alla tavola della prima colazione; l'imperatrice versa il caffè a suo marito seduto in vestaglia e pantofole con il berretto da notte. Maria Antonietta tiene in braccio la bambola ricevuta in dono, Massimiliano gioca in terra mangiando biscotti di zenzero. La ragazza, Maria Cristina in un autoritratto, chiede al fratellino Ferdinando di scegliere tra i biscotti e la punizione dei rametti di betulla all'interno della scarpa. Il foglio tenuto in mano dall'imperatore è infatti la lista delle marachelle compiute dal piccolo arciduca durante l'anno.


giovedì 30 ottobre 2014

Le nozze di Giuseppe II e Isabella di Parma nei dipinti di Martin van Meytens

Martin van Meytens, il celebre ritrattista svedese, naturalizzato austriaco, della corte di Maria Teresa, ci ha lasciato non solo i ritratti della famiglia imperiale, ma anche vere e proprie testimonianze sulle feste reali. Matrimoni, banchetti, cortei nuziali, concerti, abiti e acconciature, ci sono stati tramandati come istantanee dal pittore e dai suoi collaboratori. Molti di questi grandi dipinti, quasi sempre postumi agli avvenimenti, sono ricchi di particolari interessantissimi che raggiungono il clou con il ciclo di dipinti commissionati da Maria Teresa, per celebrare le nozze del figlio Giuseppe con Isabella di Parma.

Questo grande dipinto, per esempio, commemora l'entrata a Vienna di Isabella con il suo corteo nuziale. In realtà la spianata di fronte al palazzo è un'invenzione del pittore per dare un senso di solennità alla cerimonia. La Hofburg, da sempre nel centro cittadino, era ancora inglobata nei bastioni. Van Meytens evitò di dipingere le case e i palazzi per dar modo di vedere le 94 carrozze e i 300 cavalli che accompagnarono Isabella; tolte le case ecco la piazza!


Qui un video che consente di vedere il quadro nei particolari:
http://www.youtube.com/watch?v=0oqms4c947w

La mattina del 5 ottobre 1760, da una tribuna eretta sotto le mura della Hofburg, Maria Teresa assistette all'arrivo della nuora. Accompagnata dal principe Josef Wenzel von Liechtenstein, Isabella scese lungo la strada che costeggia il convento degli Agostiniani.

Isabella di Parma in un particolare del dipinto. La principessa è ritratta all'interno della sua carrozza in compagnia della sua governante, donna Caterina de Gonzales


domenica 26 ottobre 2014

Divertimenti invernali

Maria Antonietta amava molto la neve e in particolare i divertimenti invernali. Da bambina assieme ai fratelli e alle sorelle, amava correre con le slitte. Quando a Vienna non c'era neve a sufficienza, la si faceva portare apposta dalle montagne. Fu il padre Francesco Stefano ad incoraggiare simili divertimenti.
I festosi caroselli si svolgevano sulla piazza deserta all'interno del cortile della Hofburg. Per creare una pista di pattinaggio, l'imperatrice ordinava l'allagamento della piazza, il freddo invernale della notte la trasformava in un compatto cristallo sul quale i suoi figli potevano divertirsi. Era frequente vedere alcuni valletti sui pattini, disegnare danze attorno alle slitte degli arciduchi e delle arciduchesse. Le slitte, trainate da piccoli cavalli, erano coordinate da un uomo posizionato dietro il sedile (uno per ogni slitta).

Un carosello di slitte in onore del secondo matrimonio di Giuseppe II con Maria Giuseppina di Baviera (gennaio 1765).
Al carosello non prese parte Maria Antonietta, allora di nove anni, ma è comunque presente nel quadro, visibile su un balcone accanto ai genitori, al fratello Giuseppe II, e ai fratelli più vicini di età. Il dipinto fu realizzato postumo
all'avvenimento nel 1766 opera di Franz Michael Augustin von Purgau.
E' possibile fare uno zoom di questo splendido quadro, entrando in questo sito:
https://www.google.com/culturalinstitute/asset-viewer/sleighride-of-the-imperial-court/3wEXNN5eRWQVsA























Particolare del dipinto di Purgau in cui è visibile Maria Antonietta su un balcone tra i suoi genitori, i fratelli cadetti e il fratello maggiore Giuseppe II.
Quanto Maria Antonietta divenne regina di Francia, cercò di introdurre le corse con le slitte anche a Versailles. Madame Campan scrive nelle sue memorie: 

Una miniatura di Maria Antonietta in abbigliamento invernale
nei giardini del Petit Trianon


"I ricordi piacevoli che le gite in slitta avevano procurato alla regina durante la sua infanzia le fecero desiderare di farne altre. Quel passatempo aveva già avuto luogo alla corte di Francia; se ne ebbe la prova quando si trovarono nei depositi delle scuderie alcune slitte che erano del Delfino, padre di Luigi XVI, durante la sua giovinezza. Se ne fecero costruire altre di gusto più moderno per la regina. Da parte loro, ne ordinarono anche i principi, e in pochi giorni ce ne furono in gran numero. Venivano guidate dai principi e dai signori della corte. Il rumore dei campanelli e delle sonagliere di cui erano guarniti i finimenti dei cavalli, l'eleganza e il candore dei pennacchi, la varietà delle forme delle slitte e l'oro di cui erano state ornate rendevano le gite particolarmente belle a vedersi. L'inverno fu molto favorevole a questi passatempi (1775): la neve rimase per quasi sei settimane; le corse nel parco furono piacevoli anche per gli spettatori. Nessuno pensava potesse esservi alcunché di biasimevole in divertimenti innocenti. Ma si decise di estendere le corse fino agli Champs-Elysées, qualche slitta attraversò i Boulevards, e poiché le dame erano mascherate, si disse che la regina aveva percorso le strade di Parigi in slitta. La cosa divenne seria. Il pubblico vide in questa moda la predilezione per le abitudini di Vienna, sebbene le corse in slitta non fossero una novità a Parigi. Ma la critica si impadroniva di tutto quanto faceva Maria Antonietta [...] La regina ne fu informata, e per quanto tutte le slitte venissero conservate e in seguito vi fossero molti inverni favorevoli alle corse in slitta, non vi si dedicò più."
 
La slitta conservata a Versailles detta di "Maria Antonietta"
Anche Mme de Genlis ci lascia una testimonianza della passione di Maria Antonietta per le passeggiate in slitta:  

"La Regina ha da poco introdotto queste passeggiate in slitta che sono così concepite: sua maestà invita le signore che vuole ammettere alla passeggiata e queste a loro volta avvertono il proprio personale. Ci si riunise negli Appartamenti della Regina a mezzogiorno per il pranzo, mentre gli uomini pranzano in un'altra sala. La Regina infatti non può mangiare in compagnia di altri uomini quando il Re non è presente. Dopo il lungo pranzo ci si raduna in un altro salone dove alle dame si uniscono anche gli uomini. Poi, per decidere chi accompagnerà la Regina e per evitare ogni tipo di favoritismo e pettegolezzo, si tira a sorte. Si parte da Versailles e ci si reca nelle residenze di campagna, alla Muette, a Meudon ecc. Una volta scesi dalla slitta si trascorrono circa tre quarti d'ora a chiacchierare in un salone riscaldato, dopo di che si fa ritorno a Versailles."

A riprova che in Francia le slitte erano già in uso prima che Maria Antonietta arrivasse a Versailles, ecco lo splendido dipinto di Boucher del 1755 intitolato "L'inverno", parte del ciclo "Le quattro stagioni", commissionato da Madame de Pompadour:



La Folie Boutin, I giardini di Tivoli

Poche ore prima della fuga di Varennes, Maria Antonietta aveva trascorso le ore pomeridiane assieme ai figli e alla cognata Elisabetta, in un parco di divertimenti.
Questo parco, ribattezzato sotto il direttorio "Giardini di Tivoli" (in onore della nostrana Tivoli), costruito con diversi stili, specie l'imperante stile all'inglese, era ricco di divertimenti per bambini e provvisto di una stazione termale.

I giardini di Tivoli in un dipinto di François Watteau, detto François de Lille (1758-1823)
All'epoca di Maria Antonietta il parco si chiamava "La Folie Boutin", dal nome del suo ideatore.
Il complesso aveva infatti visto la luce nel 1766 ad opera di Simon Gabriel Boutin. Questi aveva fatto costruire alcune case in un parco di otto ettari con finte rovine e rocce e splendidi giardini decorati con piante rare. Per oltre venti anni fu liberamente aperto al pubblico (solo il giovedì, la domenica e nei giorni vestivi i parigini dovevano pagare un biglietto per potervi accedere).

 Scrive Bachaumont nelle sue "Memorie segrete" in data 14 luglio 1771:
"Il signor Boutin, ricevitore generale delle finanze, fratello del sovrintendente delle finanze, famoso per la storia della Compagnia delle Indie Orientali, suscita molto interesse oggi, e in modo più glorioso di quello precedente. Egli è un virtuoso, rinomato per il suo gusto e per il suo amore per le arti. Iniziò a creare in un sobborgo di Parigi, un giardino unico nel suo genere, dove si occuperà di rassemblare tutto ciò che la natura selvaggia e coltivata può fornire in produzione e spettacolo, e in qualunque modo si voglia. Ha chiamato il luogo "Tivoli", e anche se l'impresa di quest'opera non è al suo compimento, se ne parla già enfaticamente e la curiosità la esalta; ci si appresta ad andare a vederlo ma non si può entrare che con il biglietto. Si dice che il signor Boutin abbia già speso un milione per questo stabilimento.

La baronessa d'Oberkirch scrive nel giungo del 1782: "Siamo andate (la baronessa e la contessa del Nord, Maria Feodorovna) prima di pranzo a visitare il giardino del signor Boutin, ricevitore generale delle finanze, consigliere di Stato e tesoriere della Marina Militare, fratello dell'intendente della finanza, così chiacchierato per la storia della Compagnia delle Indie Orientali. Ha chiamato il suo giardino "Tivoli", ma il nome popolare è "Follia Boutin", e follia e la parola esatta; ha speso, anzi seppellito lì, milioni. E' un bel luogo di delizie, ci sono sorprese ovunque; grotte, boschetti, statue, un padiglione arredato con gusto principesco. Si deve essere re o finanzieri per creare simili fantasie. In questo locale il signor Boutin spesso vi cena e i pasti non sono meno sontuosi del luogo in cui sono serviti."

Il luogo era meta soprattutto di turisti stranieri, vi si tenevano concerti all'aperto, balli in apposite sale e fiere notturne illuminate da lampade colorate. Gli spettatori vi rimanevano fin oltre la mezzanotte durante la bella stagione. Boschetti, getti d'acqua, piramidi, labirinti, persino un finto fienile, dove i bambini, vestiti da pastori, potevano divertirsi. Il luogo doveva sembrare il "paese dei balocchi".

Durante la Rivoluzione, Boutin fu decapitato proprio a causa dell'ostentata ricchezza.
Nel 1795 La Folie Boutin, confiscato dalla Convenzione, riaprì i battenti con il nuovo nome de "I giardini di Tivoli". Fu uno dei primi parchi pubblici alla moda, frequentato anche dal bel mondo.
Sotto Napoleone il parco subì un graduale declino fino a quando, nel 1821, parte del terreno fu venduto a privati.
Oggi il complesso è scomparso e al suo posto si trova la stazione capolinea di Saint-Lazare.

giovedì 23 ottobre 2014

La Regina della Notte

Selenicereus grandiflorus altrimenti chiamata Night Blooming Cereus o Regina della notte, era uno dei fiori preferiti di Maria Antonietta.
Dall'intensissimo profumo questo fiore ha la particolarità di sbocciare di notte, di qui il nome 'queen of night'. La regina lo amava così tanto da volere una pianta di Cereus anche al Tempio.

Secondo la leggenda, una sera fu introdotto al Tempio il pittore Redouté(1), specializzato nell'illustrazione botanica che nel 1788 era stato nominato dalla regina disegnatore e pittore del Gabinetto di sua maestà. Secondo il racconto Redouté dipinse 'la regina della notte' nel momento in cui stava sbocciando, a mezzanotte davanti alla famiglia reale. In realtà pare che la 'regina della notte' fu ritratta altrove e non al Tempio; Redouté riuscì solo ad inviare alla regina quel disegno botanico per sollevarle il morale.

Note:
(1)

Pierre Joseph Redouté
Il pittore Pierre-Joseph Redouté, definito il Raffaello dei fiori, per via dei suoi meravigliosi acquarelli rappresentanti fiori e soprattutto rose. Fu definito anche "il pittore delle regine", perché fu al servizio di Maria Antonietta, dell'imperatrice Giuseppina e della duchessa di Parma Maria Luigia, alla quale impartì lezioni di acquarello. 

La “rosomania” scoppiò nel XVIII secolo grazie soprattutto alle sempre più avanzate conoscenze botaniche.

I fiori, in particolare le rose, divennero i protagonisti nelle arti figurative. A Choisy Maria Antonietta amava dipingere le roses-modèles che sembravano posare per lei addossate ad una bella spagliera bianca lunga quasi tre metri, dove crescevano tutte le sue specie preferite.

Redouté ebbe sicuramente libero accesso ai giardini di Maria Antonietta, che conosceva nei loro aspetti più propriamente “botanici".


Qui in basso alcune magnifiche rose dipinte da Redouté:

Una  rosa centifolia

Rosa Gallica
Rosa damascena
La rosa bifera

Gli orecchini di diamanti di Maria Antonietta


Gli orecchini di diamanti appartenuti
alla regina, oggi allo Smithsonian Institution

Questi orecchini di diamanti a forma di pera provenienti dall'India o dal Brasile, di un peso rispettivamente di 14,25 e 20,34 carati, furono un dono, presumibilmente, di Luigi XVI a Maria Antonietta. Acquisiti dalla granduchessa Tatiana Youssoupoff nell'ottocento, furono acquistati nel 1928 da Pierre Cartier.

La loro autenticità fu garantita dalla principessa Zenaide Youssoupoff e dal figlio, il principe Felix Youssoupoff, grande ammiratore di Maria Antonietta e la cui moglie, Irina, si sposò con un velo appartenuto alla regina). (1)

Gli orecchini furono acquistati da Marjorie Merriweather Post (ricca ereditiera, benefattrice e socialite americana) nel mese di ottobre del 1928, e vi furono apportate alcune modifiche ma nel complesso l'assetto rimase quello originario. 
Nel 1964 la figlia della signora Post, Eleanor Barzin, donò gli orecchini, con le impostazioni originali in argento allo Smithsonian Institution.

Marjorie Merriweather Post con un costume ispirato a Maria Antonietta per un ballo in maschera

Hilwood Museum, Marjorie Post in una miniatura con un abito ispirato a Maria Antonietta (1923)

Note:

(1)
Irina Alexandrovna, il giorno delle sue nozze con il principe Felix Youssoupoff. La principessa indossò un velo appartenuto alla regina (qualcuno sostiene che fosse il velo di nozze). Il petit salon del Moika Palace, proprietà del principe Felix, fu arredato con mobili appartenuti a Maria Antonietta.



martedì 21 ottobre 2014

L'orologio di Maria Antonietta

L'orologio di Louis Abraham Breguet
realizzato per Maria Antonietta, oggi al
L. A. Mayer Museum for Islamic Art
di Gerusalemme
Maria Antonietta nutriva una vera e propria passione per gli orologi creati da Louis Abraham Breguet. Pronta ad adottare ogni novità di cui intuiva il futuro successo, la Regina aveva acquistato dal geniale inventore parecchi segnatempo, fra cui un «orologio perpetuo» munito di un dispositivo di carica automatica messo a punto dallo stesso Breguet. Nel 1783 un ammiratore di Maria Antonietta ordinò all’atelier di Breguet, in Quai de l’Horloge, un omaggio destinato alla Sovrana. L’orologio doveva essere il più spettacolare mai realizzato, e doveva possedere tutti i ritrovati e le novità tecniche per cui andava fiera l’orologeria di quell' epoca. L’ordinazione passata a Breguet diceva che l’oro deve sostituire per quanto possibile ogni altro metallo, e che le complicazioni dovevano essere varie e molteplici. Nessun limite di tempo o di prezzo era indicato. Breguet, che era già fornitore «en titre» della Corte, aveva carta bianca. Ma la Regina non poté avere mai l’occasione di ammirare quel capolavoro, che sarà terminato solo nel 1827, vale a dire 34 anni dopo la morte della Sovrana, 44 anni dopo essere stato commissionato e 4 anni dopo la morte del grande orologiaio.

L'orologio entra nella leggenda fin dal 1783. La sua estrema complessità, le sue origini e la sua storia favolosa sono destinati ad affascinare il mondo dell’orologeria e la fantasia dei collezionisti per oltre due secoli. Finché, in anni a noi vicini, il destino avvolto di mistero che sembra inseparabile dall’orologio di Maria Antonietta – rubato in un museo di Gerusalemme e rimasto introvabile per decenni – scrive un nuovo capitolo della sua lunga storia.

Nel 2005 Nicolas G. Hayek prende una grande decisione: riprodurre il «Marie-Antoinette» in forma identica all’originale. Il Presidente e Direttore generale di Montres Breguet, venuto a sapere che la quercia del castello di Versailles, l’albero favorito della Regina, doveva essere abbattuto, decide di ridargli vita in un nuova forma: farà intagliare nel vecchio legno il cofanetto dell’orologio a cui sta pensando. Versailles offre l’albero a Montres Breguet che, in segno di riconoscenza, si impegna a restaurare il Domaine di Maria Antonietta. Nel 2007, mentre i valentissimi maestri orologiai impegnati nel ricreare il leggendario orologio stanno per concludere il loro lavoro, ecco che a Gerusalemme ricompare come per magia l’oggetto preziosissimo rubato nel 1983.

Il modello n. 160 che riproduce fedelmente il "Marie Antoinette", nella preziosa custodia realizzata con il legno della quercia di sua maestà.
Presentata al Salone di Basilea, la regina degli orologi rivela, attraverso la sua moderna reincarnazione, la presenza di un numero incredibile di complicazioni. L’unica fonte d’informazioni disponibile a questo proposito sono gli archivi e i disegni originali provenienti dal Museo Breguet, oltre a quel vero e proprio santuario della cultura che è il Musée des Arts et Métiers di Parigi. Studi comparativi condotti su antichi segnatempo, fra cui l’orologio appartenuto al Duca di Praslin, hanno fornito nuove indicazioni circa i criteri tecnici ed estetici in uso nell’orologeria di quell’epoca. Queste ricerche hanno riportato alla luce tecniche artigianali oggi scomparse, e hanno permesso alla Manifattura di realizzare un orologio fedelissimo al suo celebre antenato.

Il nuovo esemplare del «Marie-Antoinette» è sotto ogni aspetto un’opera d’arte degno in tutto e per tutto di una regina, custodito in un prezioso cofanetto composto di oltre 3500 pezzi scolpiti nel legno della quercia reale. All’interno un sontuoso lavoro d’intarsio artigianale ha creato un mosaico - formato da oltre mille frammenti di legno - che disegna la mano di Maria Antonietta mentre regge una rosa: un particolare pittorico ispirato da un celebre ritratto della Regina. All’esterno lo scrigno riproduce fedelmente il pavimento del Petit Trianon.

Adelaide Ristori in Maria Antonietta

Adelaide Ristori
Adelaide Ristori in 'Maria Antonietta', dall'opera del drammaturgo Paolo Giacometti. L'attrice - marchesa affascinò, nel corso di incessanti tournées internazionali, il pubblico di tutto il mondo a partire da quello americano, il 2 ottobre 1867 a New York, nel ruolo di Maria Antonietta, non senza farsi precedere da una martellante campagna pubblicitaria che faceva leva sulla magnificenza del suo abbigliamento di scena.

Il pubblico a cui era destinato lo spettacolo non comprendeva il testo in inglese (esisteva solo in italiano e in francese), così si decise di basare lo spettacolo su un'esteticità visiva, più precisamente sui costumi. Il rumore per i costumi della 'Maria Antonietta' fu tale che l'imperatrice Eugenia ottenne di vederli prima che fossero destinati alle scene. Gli abiti di questa rappresentazione avevano più uno stile ottocentesco che rococò e furono realizzati dal celebre sarto Charles F. Worth, forse il primo vero stilista della storia, grande creatore dei più bei vestiti portati dall'Imperatrice Eugenia e da Elisabetta d'Austria (Sissi).

Sui costumi di Adelaide Ristori, si tenne una mostra nel 2006, replicata nel 2009 a Cividale del Friuli, città natale della Ristori. Oggi i costumi indossati dall'attrice si trovano a Genova presso il Museo dell'attore la cui sede però è stata spostata.

Uno dei costumi della Maria Antonietta
indossati da Adelaide Ristori


lunedì 20 ottobre 2014

I "Trasparenti" di Carmontelle

Trasparente su pergamena 
Precursori delle pellicole cinematografiche, i "trasparenti" affascinarono l'aristocrazia prima della Rivoluzione.
Carmontelle li ideò quando era al servizio del duca di Chartres (futuro Filippo Egalité) nella sua casa al Parc Monceau, dove era il principale organizzatore delle sue feste.

I trasparenti sono delicati disegni rappresentanti paesaggi, scene romantiche e campestri, dipinti a tempera o acquarello su carta o tela trasparente. Carmontelle stesso dava vita alle scene attivando una manovella; dava vita ai personaggi cambiando la voce per ognuno e narrando la loro storia. 


Il tutto era accompagnato da musica o effetti sonori. Per dare maggiore profondità alla scena, i paesaggi erano circondati da un bordo nero (espediente cinematografico adottato due secoli dopo per le pellicole). La scena era illuminata contro luce o con delle candele, esattamente come al cinema.


Box con manovella utilizzato per far scorrere le scene, conservato a Sceaux



Maria Antonietta, ovvero L'Austriaca, un soggetto abbandonato da Puccini

Puccini in un ritratto di Arturo Riettis, 1906
Museo del Teatro alla Scala
La storia di Maria Antonietta era un tema che Puccini aveva studiato a lungo ma alla fine, dopo circa dieci anni, dal novembre 1897 all'estate del 1907, il compositore vi aveva rinunciato. Era stato l'impresario Schürmann a proporre al maestro il tema della regina martire. Puccini ne informò subito il suo librettista ed amico Illica; questi in un primo momento concepì un grande affresco storico, dal fidanzamento di Maria Antonietta fino alla sua morte sul patibolo, ma era piuttosto difficile organizzare un'opera come questa. Così Puccini accantonò il progetto senza però dimenticarlo del tutto. Nel frattempo l'editore Giulio Ricordi propose l'opera a Pietro Mascagni ma anche lui lasciò cadere il discorso dopo aver atteso invano il libretto di Illica. Dopo la Madama Butterfly, Puccini riesaminò il progetto e pensò di trasformalo riducendolo ad un dramma più intimistico. Come nelle sue opere precedenti, il maestro dava per scontata la collaborazione di Giuseppe Giacosa ma lo scrittore piemontese morì improvvisamente nel 1906. Nel 1907 Puccini cambiò drasticamente il soggetto riducendolo all'ultimo periodo tragico della vita della regina. L'opera avrebbe dovuto chiamarsi L'Austriaca e sarebbe stata solo di tre atti: La Prigione, il Giudizio, il Supplizio (reclusione, processo e condanna) e Maria Antonietta sarebbe stata l'unica protagonista. Durante l'estate del 1907, insoddisfatto del lavoro di Illica che aveva scritto solo il primo atto e appena iniziato ad organizzare le scene del secondo e terzo atto, Puccini si dedicò entusiasta alla Fanciulla del West abbandonando per sempre il progetto decennale della Maria Antonietta.
Il libretto incompiuto di Illica è oggi conservato a Piacenza presso la Biblioteca Comunale Passerini Landi, interessante per le numerose annotazioni fatte a margine, la maggior parte delle quali sono suggerimenti dello stesso Puccini.

Puccini a Illica – Cassano d’Adda
Bruxelles, 20 ottobre 1900

Frontespizio dell'opera incompiuta,
Biblioteca Comunale
Passerini Landi, Piacenza 
Caro Illica,
non è possibile contrapporre al regale tipo, una rivoluzionaria popolana come grande contrasto? Ne farei un contralto: sarebbe un buon elemento diversivo, tanto per una parte drammatica che per la musicale. La scena della testa della Principessa di Lamballe sulla picca, portata dal popolo sotto le prigioni per farla vedere alla regina?
T’ho spedito un opuscolo su Maria Antonietta. Ciao, e a rivederci presto. Andremo in scena sabato.

In una sua lettera senza data, ma collocabile in quel periodo, Puccini scriveva all’Illica: «Il Figaro annuncia Maria Antonietta in cinque atti – opera con ‘mise en scène’ enorme – libretto di Illica e Schürmann. Dice che i contratti sono già firmati con Ricordi. E in un’altra lettera, da Roma, in data 29 novembre 1897, aggiunge: «L’idea di Maria Antonietta mi svaga e ci penso e ci penseremo…»

Puccini a Illica – Cassano d’Adda
Milano, 2 gennaio 1901

Caro Illica,
ho avuto la tua lettera, Ti ringrazio. Mi rimproveri che lavoro poco e dici che è anche il pubblico che mi fa questo appunto, ed è una delle ragioni dell’affare scaligero…
Ma dimmi chi ha dato alle scene in pochi anni tre opere che si agitano e si muovono su per i teatri!! E’ solo odio dei giornalisti per uno che lavora e sovrappiù guadagna senza versare nemmeno un baiocco nelle loro tasche… A voce poi altre confutazioni.
In quanto poi a Maria Antonietta, non sono d’accordo che con me per non farla. Le ragioni le sai, te le ho dette… Quando vieni a Milano? Avvisami, cartolinami il giorno prima o telegrafami. Ho bisogno di star con te.
P.S. Cosa ti salta in mente di Colautti? Levati dall’idea queste cose « impossibili ». Niente c’è, niente ci sarà. Ciao.

Il progetto venne accantanotato soprattutto perché Puccini aveva il timore che la sua opera potesse sembrare una risposta all'Andrea Chenier di Giordano ambientato proprio durante la rivoluzione.

domenica 19 ottobre 2014

Royal Lily

Ricostruzione della spilla
La ricostruzione della spilla "Royal Lily" (Giglio Reale) che Luigi XV aveva commissionato ad uno dei suoi gioiellieri come regalo di nozze che suo nipote, Luigi Augusto, doveva presentare a Maria Antonietta. La storia di questo gioiello non è molto chiara. La regina la donò ad una sua dama (il cui nome non ci è pervenuto) in segno di riconoscenza. Da allora il gioiello sarebbe passato di mano in mano (pare che ne fosse in possesso l'imperatrice Giuseppina) fino ad arrivare ad essere di proprietà della famiglia Tolstoj che, in seguito a problemi economici, lo vendette ricavandone una discreta cifra. Più tardi lo scrittore Aleksej Tolstoj, (discendente da un ramo minore del casato dei conti Tolstoj) riconobbe da un antiquario la spilla che era appartenuta al suo casato. Tolstoj la acquistò per una cifra vertiginosa come regalo di anniversario per la moglie Lyudmila. Più tardi, sempre dallo stesso antiquario, lo scrittore acquistò due orecchini che si abbinavano molto bene con la spilla.
Nel 1980 Lyudmilla Tolstoj, ormai vedova, subì una rapina in casa propria, in pieno centro a Mosca. La rapina fu definita 'la rapina del secolo'. Tutti i suoi preziosi furono rinvenuti e i responsabili arrestati ma della spilla "Royal Lily" nessuna traccia. Probabilmente i rapinatori l'avevano smontata per vendere separatamente i diamanti. Come molti gioielli legati alla regina, pare che la spilla portasse sventura.

domenica 12 ottobre 2014

La collezione Gaetano Blasa

Gaetano Blasa
Voglio inaugurare questo blog con un'intervista ad un caro amico, Gaetano Blasa, un giovane di talento diplomatosi all'Accademia di Moda, amante dell'arte e professionista del make-up. Ci unisce, oltre che una bella amicizia, la comune passione per Maria Antonietta, una passione che Gaetano coltiva da anni e che l'ha portato, nel corso del tempo, a collezionare oggetti, locandine introvabili e soprattutto libri che riguardano la regina. Entreremo nel suo piccolo regno che Gaetano custodisce come uno scrigno e gli faremo qualche domanda:

Come nasce la tua passione Gaetano?
G: La mia passione per Marie Antoinette nasce quasi per caso durante una lezione di storia. Frequentavo un istituto di suore e quel giorno il mio insegnante, spiegando la Rivoluzione Francese, descrisse Marie Antoinette come una donna capricciosa e frivola che al suo popolo non seppe apportare altro che fame e stenti. Quando citò la famosa frase, "Se non hanno pane che mangino brioches", qualcosa catturò la mia curiosità. La cosa mi divertì molto ed iniziai ad interessarmi a lei, scoprendo poi che in realtà non pronunciò mai quella frase.

Ricostruzione della Collana dello Scandalo, collezione Gaetano Blasa
Da quanto tempo collezioni oggetti e libri riguardanti la regina
G: Avevo 16 anni quando iniziai ad acquistare i primi libri su ebay o nelle librerie dell'usato, finché non scoprii il fantastico mondo dell'antiquariato e da lì fu amore puro. Oggi ho 28 anni e non ho la minima idea di quanti titoli o quanti oggetti io abbia su Marie Antoinette e, detto con tutta onestà, non m'interessa. Mi piace tenerli con me e sapere che in qualche modo portino un po' di lei in casa mia.
Mi è sempre piaciuto rendermi custode della vita di qualcun altro, avere un suo oggetto specie se travagliato, è come avere in mano qualcosa pieno della sua essenza.
Non so se mi spiego... ed è così sin da quando ero piccolissimo.

Descrivici cosa provi quando riesci ad aggiungere alla tua collezione un nuovo pezzo.
G: È strana la sensazione che si prova ogni volta che dopo tanta attesa si riesce ad avere tra le mani il tanto agognato volume, ed è altrettanto strano come dopo pochi minuti si sia di nuovo alla ricerca di qualcos'altro, salvo poi riguardare l'ultimo acquisto, di tanto in tanto, per congratularsi con se stessi. Posso dirti però che esiste in me una fortissima ambivalenza che mi porta a bramare qualcosa per poi rendermi conto che forse non valeva poi tutti quegli sforzi, che invece avrei potuto riservare ad altro.
Sono solo oggetti, ed è giusto che non ci si leghi mai troppo e soprattutto più del dovuto.
Però è così, il piacere di averli quasi sempre supera la razionalità.

Come ti definiresti?
G: C'è chi mi definisce un bibliofilo, chi un collezionista, chi un cacciatore di libri introvabili, o chi ancora un "bibliomane" per citare il mio tanto caro Umberto Eco.
Non saprei davvero, forse anche in questo caso la verità sta nel mezzo. Per me è un gioco, un divertimento, qualcosa che faccio per salvare tanti titoli dall'oblio. Un qualcosa che non ho mai cercato definire. Quello che è certo è che io i libri li leggo, non li acquisto per tenerli lì a marcire nella polvere come molti collezionisti fanno.

Qual è il pezzo forte della tua collezione?
G: Non ho pezzi forti, per me ogni volume e oggetto ha la sua importanza. Sicuramente possiedo delle "rarità". Di recente, per esempio, sono riuscito ad aggiudicarmi un volume che con Marie Antoinette non ha nulla a che fare, ma che non si può immaginare quale soddisfazione mi abbia arrecato riuscire ad averlo. Si tratta della ballata Carmen Monarchia corifea di Café Chantant. Riuscire ad avere questo volume non è stato difficile, o forse in parte lo è stato ma sotto un altro punto di vista.
È stato sempre lì, disponibile per me, come se mi aspettasse.
Di tanto in tanto andavo nel sito della libreria che lo vendeva e subito dopo chiudevo la pagina dicendomi che tanto non lo avrei mai avuto: costava troppo.
Poi un giorno, con  testardaggine e non poca sfacciataggine, ho iniziato a scrivere ai proprietari trattando il prezzo.
E alla fine eccolo qui. Un libricino tanto sottile quanto esplosivo scritto da Gian Pietro Lucini, uno scrittore che più "anti"non si può. Erano infatti ben note le sue posizioni anarchiche in netto contrasto con il periodo, a tal punto da essere incriminato per antimilitarismo e offese ai regnanti.



La ballata di Carmen Monarchia è sicuramente la miglior rappresentazione di quello che era il suo pensiero del tutto anticonformista, basti pensare che venne stampata anonima e clandestina solamente in 50 copie, nel 1900, un periodo sicuramente molto caldo  parlando di anarchici.
Lucini, era un uomo che si creò sicuramente ben poche amicizie e infatti per anni fu considerato veramente molto poco sia come scrittore che come poeta. Solo da pochi anni viene annoverato tra i precursori delle "Nuove Avanguardie".

Insomma, credo che dietro ogni libro che ho acquistato o ricevuto in regalo, non ci sia solo l'interesse per l'autore o per la rarità del volume, ma qualcosa di più, qualcosa che riguarda me e la ricerca che ho fatto per averlo.

Nelle tue ricerche e nei tuoi acquisti andati a buon fine hai mai ricevuto l'aiuto di qualcuno?
G: In molti dicono che nella vita sono importanti le amicizie, che spesso ti consentono di trovare più rapidamente libri o oggetti.
Con un pizzico di orgoglio ti dico che non è il mio caso. E' vero collaboro con varie librerie che mi danno sicuramente un grande aiuto, collaboro anche con qualche cacciatore di rarità, ma molto onestamente ti dico che mi faccio IO  un "mazzo" così.
Sembrerà strano, ma penso siano davvero pochi i librai e soprattutto le case editrici che riescono a capire quanto desiderio si celi dietro la richiesta di reperire il volume edito da loro e ormai andato fuori commercio.
Anche in questo campo, mi duole dirlo, ha preso il posto il freddo mondo del business, che porta a vedere i libri come un modo come un altro per ottenere denaro.
Devo dire che mai una casa editrice ha collaborato o si è mostrata disponibile a darmi una mano per reperire qualcosa. Forse neanche di denaro si tratta, credo si tratti più che altro di svolgere un simile lavoro senza la dovuta passione, e di conseguenza, di  non riuscire a comprendere quali desideri si nascondano dietro ricerche come quelle che conduco io da anni.

Grazie Gaetano per la tua disponibilità e per il materiale fotografico, è stato un piacere far conoscere la tua passione e la tua collezione ad altri appassionati.
G: Grazie a voi!
La biblioteca totalmente dedicata alla regina


Locandine originali:












Videoteca della collezione Blasa