giovedì 11 novembre 2021

Muhammed Dervish Khan, ambasciatore di Mysore nel ritratto di Madame Vigée Le Brun

Madame Vigée Le Brun in un autoritratto
 eseguito tra il 1795 e il 1800
 con un tipico turbante molto di moda
alla fine del XVIII secolo

Il 6 luglio 1788, quasi un anno prima della presa della Bastiglia, tre ambasciatori di Mysore, in India, arrivarono a Parigi. Muhammed Dervish Khan, l'ambasciatore principale, insieme allo studioso Akbar Ali Khan e all'anziano Muhammed Osman Khan, furono inviati da Tipu Sultan, il potente sovrano di Mysore che cercava il sostegno di Luigi XVI nel tentativo di cacciare gli inglesi dall'India, ignari del fatto che il potere di Luigi XVI stava iniziando a deteriorarsi e che il gusto del re per le stravaganti merci straniere rispetto a quelle prodotte in casa stava suscitando tensioni nel paese.

In questo clima politico instabile, l'arrivo dei tre ambasciatori fece comunque scalpore a Parigi; giornali locali come il Journal de Paris riportavano quasi quotidianamente i loro spostamenti. Nel 1788, Madame Vigée Le Brun, che era all'apice della sua fama vide gli ambasciatori all'Opera. Nelle sue memorie i tre vengono così ricordati:

"Non voglio dimenticare di raccontarvi come dipinsi nella mia vita due diplomatici che, pur essendo sfacciati, avevano comunque delle teste superbe. Nel 1788, gli ambasciatori furono inviati a Parigi dall'imperatore Tipoo-Saïb. Vidi questi indiani all'Opera e mi sembrarono così straordinariamente pittoreschi che volli eseguire i loro ritratti. Avendo comunicato il mio desiderio al loro interprete, sapevo che non avrebbero mai acconsentito a essere dipinti, a meno che la richiesta non fosse venuta dal Re, così ottenni questo favore da Sua Maestà. Mi recai nell'albergo in cui vivevano (perché volevano essere dipinti a casa), con grandi tele e colori. Quando arrivai nel loro soggiorno, uno di loro portò dell'acqua di rose e me la versò sulle mani; poi il più alto, che si chiamava Davich Khan, mi fece sedere. Lo ritrassi in piedi che impugnava il suo pugnale. I drappeggi, le mani, tutto fu eseguito come voleva lui, che se ne stava così compiaciuto. Lasciai  asciugare il dipinto in un altro soggiorno.

Cominciai allora il ritratto del vecchio ambasciatore, che rappresentai seduto con il figlio accanto a lui. Soprattutto il padre aveva una testa superba. Entrambi erano vestiti con abiti di mussola bianca, cosparsi di fiori d'oro; e questi abiti, una sorta di tuniche con ampie maniche pieghettate, erano sorretti da ricche fusciacche. Finii il  dipinto, ad eccezione del fondo e del fondo degli abiti.

La signora de Bonneuil, alla quale avevo parlato delle mie sedute, desiderava moltissimo vedere questi ambasciatori. Ci invitarono entrambe a cena e accettammo per curiosità. Entrando in sala da pranzo rimanemmo un po' sorprese di trovare la cena servita per terra, cosa che ci costrinse a stare in piedi con loro quasi distesi intorno al tavolo. Ci servirono con le loro mani quello che presero dai piatti, uno dei quali conteneva una fricassea di piedini di montone in salsa bianca molto piccante, e l'altro, non so quale stufato. Si deve credere che facemmo un pasto triste: eravamo troppo restie a veder usare le loro mani abbronzate come cucchiai.

Questi ambasciatori avevano portato con sé un giovane che parlava un po' di francese. Madame de Bonneuil, durante le sessioni, gli insegnò a cantare "Annette all'età di quindici anni". Quando andammo a presentare i nostri addii, questo giovane ci cantò la sua canzone, ed espresse rammarico per doverci salutare dicendo: “Ah! come piange il mio cuore!”, che io trovai detto con forte accento orientale ma molto ben pronunciato.

Quando il ritratto di Davich Khan fu asciutto, lo feci chiamare; ma l'aveva nascosto dietro il suo letto e non voleva restituirlo, sostenendo che questo ritratto aveva bisogno di un'anima. Questo rifiuto dette origine a versi molto graziosi che mi furono indirizzati e che qui riporto:

"A Madame Le Brun,

A proposito del ritratto di Davich Khan, e del pregiudizio degli orientali contro la pittura.

Non è nei climi dove regnano i sultani

che il marmo si anima e la tela respira.

I pregiudizi dei loro Imam

sul dio delle arti hanno rovesciato l'impero.

Hanno sognato che Allah, geloso dei nostri talenti,

deve, giudicando i mondi e le ere,

dare un'anima a queste immagini

che salvano la bellezza dalle ingiurie del tempo.

Sublime Allah! ridi di questo errore empio!

Sarai d'accordo, vedendo questa copia,

dove l'arte ha carpito i segreti della natura,

che, come te, il genio ha le sue fiamme;

E che Le Brun, dipingendo ritratti,

Sa anche dare loro un'anima. "

Potevo ottenere la mia immagine solo impiegando l'inganno; e quando l'ambasciatore non riuscì a trovarlo, attaccò il suo valet de chambre che voleva uccidere. L'interprete ebbe tutta la fatica del mondo per fargli capire che i valets de chambre non venivano uccisi a Parigi, e dovette dirgli che il re di Francia aveva ordinato il ritratto.

Questi due dipinti furono esposti al Salon nel 1789. Dopo la morte di Monsieur Le Brun, che aveva sequestrato tutte le mie opere, furono venduti, e non so chi li possiede oggi."

L'imponente ritratto eseguito da Madame Vigée Le Brun di Muhammad Khan, ambasciatore dell'India in Francia, venduto qualche anno fa da Sotheby's per l'incredibile cifra di 7,2 milioni di dollari.

L'intensità con cui è ritratto Dervish Khan è diversa da qualsiasi altro ritratto della Le Brun. C'è un elemento iniziale di ferocia, ma l'eleganza e la grandezza del costume lo superano. L'ambasciatore indossa il costume tradizionale che tanto innamorò gli uomini francesi e in particolare le donne, così affascinati dai tessuti indiani che si stavano facendo strada nella moda francese. Questa mussola bianca velata e stratificata ricorda l'abito scandalosamente indossato da Maria Antonietta in un ritratto dipinto proprio dalla Le Brun qualche anno prima.

Tornato in possesso dell'artista, il dipinto fu esposto al Salon nel 1789, inaugurato in agosto, in un clima politico inquietante, e fu accolto dal pubblico con immensa curiosità e consensi di critica. Ad ottobre, tuttavia, la Le Brun fuggì da Parigi temendo per la sua vita dopo che la folla aveva invaso Versailles. Si può ipotizzare che abbia conservato l'opera nella sua collezione personale ma l'abbia lasciata a casa in Francia quando si è recò in Italia, dato che il dipinto appare successivamente nella vendita immobiliare del marito, Jean-Baptiste Pierre Le Brun.

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