giovedì 19 gennaio 2023

Maria Antonietta e i suoi figli nel dipinto di Madame Vigée Le Brun

Nonostante l'insuccesso del grande ritratto di Wertmuller, in cui la regina è ritratta con il primo Delfino e Madame Royale, D'Angivillier, sovrintendente alle arti, non aveva rinunciato all'idea di presentare al pubblico l'immagine di Maria Antonietta glorificata nel suo ruolo di madre. Così, nel settembre del 1785, un nuovo lavoro fu commissionato a Madame Vigée Le Brun.
Alla pittrice fu offerta la cifra colossale di 18.000 livres (circa 180.000 euro odierne) ma ella avrebbe dovuto attenersi ad alcune istruzioni. L'opera avrebbe dovuto essere monumentale e avrebbe dovuto rappresentare la sovrana, nei suoi appartamenti, con i suoi bambini, al fine di testimoniare la solidità della corona e di illustrare un ideale di virtù domestica.

L'elaborazione del dipinto non fu senza problematiche perché la pittrice inizialmente non aveva idea di come disporre la composizione e impiegò ben due anni per completare quello che è considerato il suo capolavoro.
Elisabeth si ispirava spesso a Raffaello e chiese consiglio al collega David che le suggerì di ispirarsi alle Sacre Famiglie del tardo Rinascimento presenti al Louvre. Il dialogo tra i due colleghi fu riportato dal collaboratore di David nelle sue memorie:

"Ma mio caro David, non temete che potrebbero accusarmi di plagio?"
"Prendete da li tutto quello che vi serve, vi garantisco che dopo che avrete sistemato qua e la tutta una serie di abbellimenti alla moda, nessuno potrà rendersi conto che avete preso spunto da una composizione di Raffaello. Fate come Molière. Prendete ciò che volete, dove volete".
La pittrice moltiplicò le fonti di ispirazione: per la disposizione generale e la direzione della luce e in particolare per l'idea della culla, si ispirò alla Madonna della gatta di Giulio Romano; per la posizione decentrata del delfino e il movimento del suo braccio fonte di ispirazione fu La Madonna dell'Impannata di Raffaello; per la posizione estatica di Madame Royale si ispirò alla Maddalena presente nella Madonna di San Girolamo del Correggio; per la dormiente Sofia Elena Beatrice, ancora in vita quando il dipinto venne concepito, la pittrice aveva pensato di ispirarsi alla Madonna del diadema blu di Raffaello e al Sonno di Gesù Bambino di Charles Lebrun. 

La Madonna della gatta - Giulio Romano, 1522

La Madonna dell'impannata - Raffaello, 1513/14

Madonna di San Girolamo - Corrreggio, 1528

Madonna del diadema blu - Raffaello, 1512

Il sonno di Gesù Bambino - Charles Lebrun, 1655

Della piccola Sofia (non presente nel dipinto in quanto morta prematuramente prima che il quadro venisse ultimato) sono rimaste solo alcune congetture sul modo in cui la pittrice l'avrebbe dovuta ritrarre. La stessa Le Brun, nelle sue memorie, non parla di schizzi preparatori riguardanti la principessina: "L'ultima seduta che mi concesse Sua Maestà fu al Trianon, dove realizzai i suoi capelli per il grande dipinto in cui appare con i suoi figli. Dopo aver fatto i capelli della Regina, oltre a studi separati del Delfino, di Madame Royale e del Duca di Normandia, mi dedicai al mio dipinto, al quale attribuivo grande importanza". Nelle Mémoires Secrets si evince che l'assenza della bambina, resa ancora più pesante dalla culla vuota, aveva provocato mille congetture: che il quadro fosse stato ordinato proprio nel momento in cui la bambina moriva e che a maggior ragione l'opera fosse di carattere solenne e commemorativo; al contrario qualcuno assicurava che la bambina fosse inizialmente presente nel dipinto, ritratta dormiente mentre il fratello maggiore, il Delfino Luigi Giuseppe, con il dito indice portato alle labbra, indicava agli spettatori di non disturbarne il sonno; che l'artista avesse in seguito eliminato la principessina dal dipinto, cambiando l'azione del braccio sinistro del Delfino.  
Recenti radiografie realizzate sulla tela, non hanno però rilevato alcuna modifica ma soprattutto nessuna presenza nella culla. Sofia Elena Beatrice non fu mai posta nel dipinto ma certamente l'idea iniziale della pittrice era quella di ritrarla nella culla mentre dormiva.

Dopo aver realizzato gli studi dei volti, la pittrice ottenne dalla garde-meuble reale, nel luglio del 1786, gli accessori necessari per la composizione.
Il sontuoso dipinto, il più grande mai creato dalla Vigée Le Brun, è intriso di toni caldi e trame lussuose. Gli spettatori che hanno familiarità con Versailles possono riconoscere sullo sfondo a sinistra la Galleria degli Specchi, un omaggio a Luigi XIV, sovrano assoluto che di Versailles fu l'ideatore. La variazione dei colori è perfettamente padroneggiata: complementarietà dei rossi, verdi, ocra dei tessuti, colori che si trovano associati negli arabeschi e nei fiori dei cuscini e dei tappeti mentre la luce proveniente dalla Galleria degli Specchi illumina la scena. 












Con indosso un copricapo piumato di aigrette e piume di struzzo abbinate al suo vestito di velluto rosso foderato di martora (chiaramente preso in "prestito" dalla pittrice dal ritratto della pia regina Maria Leszczynska opera di Nattier) la regina, a figura intera e a grandezza naturale, diventa una figura sacra: centrata nella tela, e con i piedi nascosti sotto di lei, “sembra quasi essere galleggiante”; indossa pochi gioielli, orecchini di perle e un braccialetto di perle, monili che ella prediligeva perché mettevano in risalto la bellezza del collo e delle mani. La nobiltà del portamento è accentuata dal pennacchio che adorna il copricapo di velluto rosso. Il petto appare florido e maestoso esaltato da un leggero velo di seta. La reputazione di frivolezza e licenziosità della regina lascia il posto alla sacralità della figura materna. 

Maria Leszczyńska - Jean-Marc Nattier

In effetti il dipinto è ricco di riferimenti alla pittura religiosa e storica. Rifacendosi ad una frase dell'Emilio di Rousseau "rispettiamo meno una madre della quale non vediamo i figli", Madame Le Brun pone in piena luce i bambini. Il portagioie di Bélanger e Gouthière sulla cui sommità è posta la corona della Regina, è collocato volutamente nell'ombra, il potere e la regalità in secondo piano rispetto ai bambini; un riferimento a Cornelia che ospitando in casa una madre che faceva sfoggio di monili, le presentò i propri figli esclamando: "Ecco i miei gioielli!". In questo modo la Vigée Le Brun suggerisce allo spettatore che i veri gioielli della regina sono i suoi figli.

Madame Royale è appoggiata amorevolmente al braccio della madre che sembra quasi voler consolare della perdita della piccola Sofia e dalle sue preoccupazioni; il piccolo duca di Normandia è seduto sulle ginocchia della madre e come tutti i bambini costretti a fare qualcosa di poco gradito appare infastidito e poco propenso a stare fermo, mentre il Delfino, in disparte, con indosso il nastro azzurro e la targa dell'Ordine dello Spirito Santo, apre il sipario di una culla vuota, alludendo alla morte prematura di Sofia Elena Beatrice, scomparsa a undici mesi durante l'esecuzione del dipinto, e indica qualcosa.
C'è la convinzione che il Delfino indichi appunto la culla vuota della sorellina parata a lutto, in realtà parrebbe che il bambino stia indicando il fratellino più piccolo e qui i punti interrogativi sul significato del gesto sono tanti.
La Le Brun, come già detto, si era ispirata alle composizioni triangolari delle Sacre Famiglie rinascimentali. In numerosi dipinti compare spesso una figura con il dito indice a indicare qualcosa. Nella Madonna dell'impannata cui la pittrice si ispirò per la posizione del Delfino, Giovanni Battista bambino indica il piccolo Gesù sulle ginocchia della Vergine. Il dito è simbolo di quell’indicare Gesù come il vero Messia atteso e finalmente giunto, stornando l’attenzione da sé (il Battista ne era solo il precursore). Nel 1787, anno di realizzazione del dipinto, la salute del Delfino era assai compromessa ed erano in molti a vedere nel duca di Normandia il futuro erede al trono. L'espressione della regina, già afflitta per la morte dell'ultimogenita, sembrerebbe confermare le sue preoccupazioni per il Delfino: Maria Antonietta, nonostante la radiosità del suo incarnato che la Le Brun sapeva così magnificamente riportare su tela, appare distratta e preoccupata, con lo sguardo trasognato e assente. In una lettera del 1788 la regina scriveva al fratello, Giuseppe II: "il mio figliolo maggiore mi da molte preoccupazioni. E' lievemente deforme, un'anca è più alta dell'altra e nel dorso le vertebre sono un poco spostate e prominenti. Da qualche tempo ha sempre la febbre, è magro e deperito."
In mancanza di elementi certi è difficile dare un'interpretazione ma non è improbabile che la pittrice tramite la sua opera, abbia voluto lanciare un messaggio di speranza alla corona di Francia, indicando nel duca di Normandia, il garante della continuità dinastica.

Acquaforte di Pietro Antonio Martini che rappresenta il Salon del Louvre nel 1787, anno in cui fu esposto il ritratto della regina con i figli. Il dipinto è ben visibile a centro della scena.
Parigi, Biblioteca Nazionale

Il 25 agosto 1787, le porte del Salon si aprirono ma il ritratto non era esposto. L'Affare della Collana aveva definitivamente rovinato la reputazione della regina e Parigi aveva messo alla gogna la sovrana. La pittrice che si sentiva particolarmente inquieta, non aveva osato inviare la tela al Salon. Lo spazio destinato al dipinto rimasto vuoto dava un brutto effetto. Ciò ispirò a qualcuno la celebre pasquinata: "Voilà le Déficit".

La pittrice scrive nei suoi Ricordi:

"La cornice, che era stata portata lì da sola, era sufficiente perché provocasse mille commenti maliziosi. "Ecco dove finiscono i soldi", dissero, e una serie di altre cose che mi parvero i commenti più amari. Alla fine inviai il mio dipinto ma non riuscii a trovare il coraggio di seguirlo e scoprire quale sarebbe stato il suo destino, tanto era spaventata che potesse essere accolto malamente dal pubblico. Ed effettivamente per la paura mi ammalai. Mi chiusi nella mia stanza, ed ero lì, pregando il Signore per il successo della mia "famiglia reale", quando mio fratello e una schiera di amici sopraggiunsero per dirmi che il mio quadro aveva avuto un successo unanime."

Il dipinto fu successivamente trasferito a Versailles e inizialmente esposto nella Galleria degli Specchi perché tutti potessero ammirarlo. Successivamente fu posizionato nel Salone di Marte. Scrive la Le Brun nelle sue Memorie:

"Dal  Salon, il quadro fu trasferito a Versailles, e il signor d'Angevilliers, allora ministro delle Belle Arti e direttore delle residenze reali, mi presentò a sua Maestà il Re. Luigi XVI mi concesse un lungo colloquio per dirmi che era molto contento. Poi aggiunse, continuando a parlare del mio lavoro, "Non capisco nulla di pittura ma il quadro mi piace molto". Il dipinto fu collocato in una delle stanze di Versailles dove la Regina passava per andare e tornare dalla messa. Dopo la morte del Delfino, avvenuta all'inizio del 1789, la vista del quadro le ricordava così acutamente la perdita crudele che aveva sofferto da non riuscire a passare attraverso la stanza senza versare lacrime. Ordinò quindi a M.d'Angevilliers di portar via il dipinto, e la considerazione che aveva per me fece si che mi informasse personalmente dei motivi della rimozione. 
Devo alla sensibilità della Regina la salvezza del mio quadro, poiché le pescivendole che in seguito (nelle giornate di ottobre) si diressero a Versailles dalle Loro Maestà l'avrebbero sicuramente distrutto, come fecero con il letto della Regina, che fu spietatamente lacerato."

Più precisamente Madame Campan scrive nelle sue memorie che il quadro fu "salvato dal furore dei rivoluzionari grazie all'interessamento dei commissari incaricati di 
proteggere l'arredamento di Versailles."

Della cifra colossale pattuita con la pittrice, fu versato un acconto di 6000 livres (circa 60.000 euro) ma pare che, nonostante le ripetute richieste di Mme Le Brun e di suo marito, la cifra spettante all'artista non fu mai del tutto pagata.

Le reazioni dell'epoca, checch'è ne dica la Le Brun non furono del tutto unanimi nel ritenere l'opera il suo capolavoro ma anzi in molti la rimproverarono di aver dato "alla pelle di una donna di trent'anni" una trasparenza inverosimilmente diafana", anche se la somiglianza di Maria Antonietta nel ritratto fu molto lodata persino dal conte d'Hézècques al quale la regina non stava per niente simpatica.



L'opera non salvò la reputazione di Maria Antonietta e anche da un punto di vista politico il dipinto fu l'ennesimo fallimento di D'Angiviller. L'Affare della Collana ma anche il fatto che la pittrice fosse ritenuta da molti l'amante dell'odiato ministro Calon, non aiutarono a riabilitare la figura della regina ormai ritenuta la fonte di tutti i mali della Francia.

Nelle Memorie della pittrice si apprende che quando ella tornò in Francia dopo il lungo e volontario esilio, trovò il grande ritratto della regina con i suoi figli, relegato in un angolo del Palazzo di Versailles: "Ho lasciato Parigi una mattina per vederlo. Giunta alla porta dei Principi, una guardia mi condusse nella stanza che lo custodiva, la cui entrata era proibita al pubblico, e la guardia che ci aprì la porta, riconoscendomi per avermi visto a Roma, esclamò: Ah! Come sono felice di ricevere qui Madame Lebrun!
Quest'uomo si affrettò a girare il mio quadro, le cui figure erano poste contro il muro, perché Bonaparte, saputo che molta gente veniva a vederlo, aveva ordinato che fosse rimosso. L'ordine, come si vede, fu eseguito malissimo, poiché continuò ad essere mostrato...".

Se però il dipinto non ebbe inizialmente il successo sperato, eppur vero che nel secolo successivo divenne una sorta di icona. L'imperatrice Eugenia, grande ammiratrice di Maria Antonietta, si fece ritrarre con il figlio da Winterhalter in un quadro che nella posa e nel colore della veste ricorda quello di Maria Antonietta con i figli.

L'imperatrice Eugenia con il figlio - Franz-Xavier Winterhalter, 1870

A Schoenbrunn il grande salotto da ricevimento di Maria Teresa ha preso il nome di "Stanza di Maria Antonietta" per via dell'arazzo Gobelin che un tempo l'adornava, donato dall'Imperatore Napoleone III all'imperatrice Elisabetta nel 1868, che mostrava la regina di Francia con i suoi tre figli, copia del famoso ritratto di Madame Vigée Lebrun.
In un famoso quadro di Franz von Matsch si può appunto vedere l'arazzo, mentre i Principi Tedeschi, guidati dall'Imperatore Guglielmo II, porgono gli auguri a Francesco Giuseppe per il sessantenario del suo regno.


Infine un arazzo Gobelin raffigurante Maria Antonietta con i figli, fu donato dal presidente francese Albert Lebrun alla zarina Alessandra nel 1902, in occasione di una visita in Russia. Alessandra, anche lei come Eugenia grande ammiratrice di Maria Antonietta, fece collocare l'arazzo nella Sala da ricevimento formale del Palazzo di Alessandro a San Pietroburgo e sulla scrivania della sua stanza al Palazzo d'inverno teneva un ritratto di Maria Antonietta; le persone che entravano in quelle stanze rimanevano un po' turbate, pensando che non fosse di buon auspicio la figura di una regina morta così tragicamente. 

L'arazzo Gobelin della zarina Alessandra in una fotografia antecedente al 1917

l'
L'arazzo appartenuto alla Zarina Alessandra

Oggi il ritratto della regina con i suoi bambini è esposto nell'Antichambre du Grand Couvert, seconda sala del Grand Appartement de la Reine, destinata al tempo di Maria Antonietta ai pranzi ufficiali della famiglia reale.

L'antichambre du grand couvert a Versailles dove oggi è esposto il ritratto della regina con i figli


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