lunedì 26 settembre 2022

Eleonora Fonseca Pimentel

Ritratto di Eleonora Fonseca Pimentel
realizzato sulla base di una nota
litografia - Milano, Istituto Comprensivo
Statale, via Giacosa - Casa del Sole
A Roma, a pochi passi da Piazza del Popolo, una lapide posta al civico 22 di via Ripetta, ricorda che in quel luogo nacque il 13 gennaio 1752, da una nobile famiglia portoghese, la scienziata e poetessa Eleonora Fonseca Pimentel, una delle donne più colte del Settecento italiano. Le vicende di Eleonora ispirarono Enzo Striano per il suo bellissimo romanzo "Il resto di niente", un'espressione molto usata a Napoli, in dialetto "o' rieste e' nient", per indicare nulla, ma proprio nulla.. Secondo l'autore è quello che rimase del sacrificio di Eleonora e degli altri 120 patrioti morti in nome della libertà durante la Rivoluzione Partenopea.

Eleonora si trasferì a Napoli con la famiglia quando aveva appena 8 anni. Le sue rare capacità intellettuali e la sua singolare bellezza la misero presto in luce presso la corte di Maria Carolina della quale divenne bibliotecaria e intima amica. Duff Cooper nella sua biografia di Talleyrand descrive mirabilmente l'atmosfera di quegli anni in cui le donne di ingegno brillavano per la forza e la bellezza della loro conversazione:


"Fu l'era della conversazione, della libera e sfrenata discussione su ogni argomento, celeste o terrestre. Parlare bene era considerata allora la più alta qualità che una persona potesse possedere; l'unica arte nella quale tutti si sforzarono di eccellere; l'unica strada per la quale ogni talento era diretto. Una conversazione, quale quella che si poteva ascoltare allora a Parigi, non si era più sentita forse dal tempo lontano, in cui ad Atene si era fatto silenzio [...] Questa epoca della conversazione aveva una sua fisionomia nuova, che la distingueva da altre del passato. Né Aspasia né Santippe prendono parte ai dialoghi che Platone ci ha tramandato. Invece nella Parigi della giovinezza di Talleyrand le grandi dame erano a capo della conversazione come della moda. Erano esse le arbitre non solo dell'eleganza ma dei costumi, della politica, delle arti. Nessun uomo poteva salire in fama se non sullo sfondo di un salotto, e sopra ogni salotto regnava una donna."

Come viene ricordato nel libro "Per filo e per segno", " la Pimentel è figlia di quell’età dei Lumi che vede le donne abbattere il tabù delle scienze e animare salotti intellettuali".
Studiosa di greco, latino, matematica, fisica, chimica, botanica, mineralogia, astronomia, economia e diritto pubblico, nonostante la giovane età, Eleonora fu ammessa all'Accademia del Filareti, con il nome di Epolifenora Olcesamante, e a quella dell’Arcadia, come Altidora Esperetusa. A18 anni iniziò una corrispondenza epistolare con Metastasio che rimase colpito dalle sue rare qualità e dai suoi versi. Seguirono altre corrispondente con illustri uomini del suo tempo, come  Goethe, Gaetano Filangieri e Voltaire che le dedicò questi versi:

Dolce usignolo della bella Italia
Il vostro sonetto coccola un vecchio gufo
Rifugiato sul monte Giura in un buco,
Senza voce, spennacchiato, e privo di genio.
Vuol lasciare il suo paese noioso;
Vicino a voi a Napoli vuole venire,
Se vi può vedere, se può ascoltarvi,
Riacquisterà tutto quello che ha perso.

Immagine tratta dal film "Il resto di niente", 2004

Dopo la morte del figlioletto di appena otto mesi, al quale dedicò dei versi commoventi in cui l'urlo straziante di una madre può ancora giungere fino a noi, e la fine del suo disastroso matrimonio fatto di umiliazioni e percosse che si concluse appunto con una separazione, Eleonora in un primo momento così vicina alla monarchia borbonica, abbracciò la causa dell’idealismo democratico iniziando a frequentare i salotti illuminati vicini alla massoneria.



"In lei matura un pensiero progressista, laico e repubblicano, che per alcuni versi prefigura una sensibilità risorgimentale". Si dedicò quindi alla politica, in difesa del progresso e delle classi povere. Per le sue idee fu accusata di essere una giacobina e fu arrestata, nell’ottobre del 1798. All’arrivo delle truppe francesi a Napoli, nel gennaio del 1799, fu liberata dal carcere della Vicaria. Cancellò il "de" nobiliare dal suo cognome e diventò una protagonista della vita politica della Repubblica Partenopea assumendo la direzione del "Monitore napoletano", pubblicato dal 2 febbraio all'8 giugno 1799. Nei suoi articoli la Pimentel chiedeva la soppressione dei privilegi feudali e delle imposte che gravavano sui poveri. Aveva infine compreso l’importanza di alfabetizzare la plebe e di diffondere la coscienza dei diritti umani. Fu una grande giornalista e la tra le idee più brillanti vi fu quella di comunicare con la plebe per mezzo del dialetto.

Eleonora Fonseca Pimentel condotta al patibolo -
Giuseppe Boschetto
La sfortunata Repubblica, però, cadde dopo soli cinque mesi, il 13 giugno 1799. Le truppe Sanfediste, entrate in città, fecero strage dei patrioti partenopei. Eleonora fu arrestata e condannata a morte mediante impiccagione per aver osato parlare e scrivere contro il re. Aveva chiesto di essere decapitata ma non le fu accordato, non essendo ritenuta di nobiltà napoletana. L’esecuzione avvenne in Piazza Mercato, il 20 agosto 1799. Il suo estremo desiderio fu una tazza di caffè, quindi pronunciò un verso di Virgilio: "forsan et haec olim meminisse juvabit", "forse un giorno gioverà ricordare tutto questo".

Nel suo periodo di detenzione presso il carcere della Vicaria aveva composto dei versi pieni di sdegno contro Maria Carolina, dei versi talmente duri che qualche mano pietosa negli anni li ha censurati. Qualche storico come Croce, ritenne che il sonetto non fosse di Eleonora, soprattutto per via del riferimento violento a Maria Antonietta e alla sua morte sul patibolo.

Ma, chiusa nella fossa del Panaro, una terrificante segreta posta nel ventre del carcere della Vicaria, vessata e umiliata in ogni modo, si può comprendere lo stato d'animo di Eleonora che in breve cadde ammalata.

D'altra parte con questo sonetto che fu ritrovato nelle tasche del fratello, Eleonora segnò lucidamente la propria condanna a morte da parte di Maria Carolina alla quale fu fatto recapitare mentre era a Palermo. 

Le strofe erano queste:

"Rediviva Poppea, tribade impura,
d'imbecille tiranno empia consorte
stringi pur quanto vuoi nostra ritorta
l'umanità calpesta e la natura...
Credi il soglio così premer sicura,
e stringer lieto il ciuffo della sorte?
Folle! E non sai ch'entro in nube oscura
quanto compresso è il tuon scoppia più forte?
Al par di te mové guerra e tempesta
sul franco oppresso la tua infame suora
finché al suol rotà la indegna testa...
E tu, chissa? Tardar ben può ma l'ora
segnata è in ciel ed un solo filo arresta
la scure appesa sul tuo capo ancora.

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