Accostando elementi presi in prestito dalle illustrazioni di moda, vedute topografiche e stampe popolari, Asselin suggerisce come il commercio internazionale e la rivalità imperiale avessero trasformato la monarchia francese, forse contribuendo alla sua crisi.
Dopo un lungo viaggio gli ambasciatori erano sbarcati a Tolone l'8 luglio, suscitando curiosità lungo tutto il percorso, a Marsiglia, Lione, Fontainebleau e a Parigi dove furono magnificamente accolti.
«Tutta Versailles è stata occupata oggi», scriveva M. de Bombelles il 9 agosto, «con l'arrivo degli ambasciatori indiani al Grand Trianon, un gran numero di parigini è arrivato per vedere domani l'udienza che sarà data a questi ambasciatori. Erano attesi da tempo, il che in qualche modo rendeva impazienti i cortigiani. Niente era stato trascurato per rendere ancora più piacevole la più bella, la più magnifica delle dimore. La grande sala era adornata da un superbo tappeto Savonnerie, di forma circolare, attorno al quale erano disposti cuscini di velluto cremisi con passamaneria, nappe e ricche frange dorate. "
Pochi giorni prima della cerimonia, il delfino Luigi Giuseppe aveva espresso al suo governatore il desiderio di partecipare. La regina, riluttante per lo stato di deperimento del figlio e con la sua deformità già molto evidente, di esporlo allo sguardo di una folla curiosa e forse maliziosa, chiese a M. d'Harcourt di distoglierlo dal suo progetto; nonostante questa ingiunzione, al delfino fu permesso di scrivere a sua madre, in modo che lei gli permettesse di assistere a questa solennità. La cosa pose Maria Antonietta in una posizione d'imbarazzo e di dolore nel dover rispondere negativamente al bambino che si sentì mortificato.
L'arrivo dei tre ambasciatori a Versailles |
Il 10 agosto 1788 il re ricevette gli ambasciatori del sultano.
Bombelles che giudicò capricciosi e ombrosi gli inviati del sultano, scrisse nel suo diario:
"Il 10 i tre ambasciatori partirono alle undici del mattino dal Trianon. Entrarono nel grande cortile della Reggia di Versailles in tre carrozze bardate, ciascuna a sei cavalli e nella livrea del Re, passarono tra due siepi di guardie formate dalle guardie francesi e svizzere, i tamburi battevano l'appello. “Scesero dalle loro carrozze nella Cour des Princes; Sieur Delaunay, commissario della Marina, li condusse per la scala dei Principi e la stanza dei Cento Svizzeri che erano assiepati, con alabarda in mano, in un appartamento privato, ad aspettare il momento in cui il re sarebbe stato pronto a riceverli. L'udienza che doveva aver luogo a mezzogiorno fu ritardata da un capriccio degli ambasciatori. Avevano affermato di voler rimanere seduti; ci volle un po' per far loro rinunciare alla ridicola richiesta citando loro tutti gli esempi di una solenne udienza, «dove mai i rappresentanti di alcun sovrano avevano potuto ottenere una distinzione che non fosse concessa ai fratelli. Prima entrò la regina, proveniente dagli appartamenti attigui al salone di Ercole, che doveva prendere posto molto prima che apparisse il re. Era l'una meno un quarto quando Sua Maestà, accompagnato da Monsieur, Monsieur le Comte d'Artois, i duchi di Angoulême, Bourbon, d'Enghien, i principi di Condé e Conti, si recò nella stanza. Il trono che viene utilizzato per la cerimonia dello Spirito Santo era posto su una piattaforma rialzata di otto gradini e addossato al camino... Una felice coincidenza aveva messo in primo piano le donne più giovani e belle; un'occasione ancora più felice avendomi fatto conoscere il duca di Polignac e i suoi figli, mi permise di unire i miei ai suoi... Nella galleria di sinistra si trovava la Regina con Madame, Madame Royale e il Duca di Normandia; nella galleria di destra erano collocati la Contessa d'Artois, Madame Elisabeth e il Duca di Berry... Il re prese posto sul trono e dette l'ordine di chiamare gli ambasciatori indiani che attraversarono tutti i grandi appartamenti pieni di spettatori, tra due siepi di guardie del corpo."
Gli ambasciatori consegnarono le loro lettere di presentazione in un pezzo di stoffa d'oro (un tessuto realizzato con filo di seta avvolto in oro), insieme a ventuno monete d'oro, un segno di profondo rispetto nella loro cultura. Seguì lo scambio cerimoniale di doni diplomatici; le voci circolavano da settimane e molti nella folla si aspettavano che gli ambasciatori offrissero bauli pieni di diamanti. Invece donarono a Maria Antonietta un abito di mussola semplice ma fine, e una piccola scatola di perle. Il re ricevette armi ornamentali e un grande rubino, che in seguito fece montare su una spallina di diamanti. Gli ambasciatori ricevettero a loro volta diverse lunghezze di seta tessuta a Lione, busti del re e della regina e più di 250 pezzi di porcellana di Sèvres decorati, in ossequio alla legge islamica, con fiori.
Luigi XVI e Maria Antonietta ricevono l'ambasciata Tippo-Saib - Incisione di Gustave Staal, 1826 - Museo di Versailles |
La sera del 12 agosto una folla di curiosi attese gli indiani al Grand Trianon, addobbato appositamente per accoglierli. Accompagnati dagli interpreti, i tre andarono in estasi per la bellezza del giardino e del palazzo. Da bravi mussulmani chiesero che i tappeti raffiguranti esseri umani fossero rimossi non potendoli utilizzare per le preghiere. Il giorno seguente, per il solenne ricevimento che avrebbe seguito la messa, venne collocato un trono per il Re nel Salone d'Ercole, con le poltrone su entrambi i lati per la regina e gli altri membri della famiglia reale. Preceduto dai maestri di cerimonie, il corteo si snodò per gli appartamenti affollati, pieni di dame scollate che gli ambasciatori trovarono sorprendenti. Per l'occasione gli ambasciatori avevano rinunciato ad indossare gli abiti tradizionali, conservando solo i copricapi. Si erano fatti confezionare un'uniforme europea verde e rossa di marocchino che sarebbe servita da modello per i sipahi, i soldati nativi dell'India al servizio di potenze europee. Dopo l'udienza con il re, vennero condotti per il parco in calesse e fu offerto loro lo spettacolo delle grandes eaux.
Madame de La Tour du Pin scrisse: "Sono venuti a chiedere l'appoggio della Francia contro gli inglesi. Ma gli abbiamo dato solo parole, come avevamo fatto agli olandesi. Questi tre indiani rimasero parecchi mesi a Parigi, a spese del re, carrozze dappertutto in una carrozza a sei cavalli. Li vedevo molto spesso all'Opera e in altri luoghi pubblici. Erano tutti di quel bel sangue indù marrone chiaro, avevano barbe bianche che arrivavano fino alla vita e indossavano costumi molto ricchi. All'Opera era riservato loro un bel palco per le prime. Seduti in grandi poltrone, spesso appoggiavano i piedi, calzati in ciabatte gialle, sull'imbottitura del palco, con grande gioia del pubblico...".
Gli ambasciatori rimasero al Grand Trianon per diversi giorni, insieme ai lori schiavi che preparavano per i loro signori piatti esotici. Il conte d'Hézecques lasciò scritto:"La quantità di spezie, peperoncino, curry e soprattutto aglio che vi mettevano, rendeva il loro stufato, che ho assaggiato una volta, intollerabile ai palati europei... Anche la Regina aveva voluto assaggiare questa cucina indiana, ma le era impossibile sopportare la forza del suo condimento."
Maria Antonietta commissionò a Madame Tussaud le cere dei tre ambasciatori per immortalare la loro visita in maniera divertente. L'artista portò a termine alla perfezione l'incarico della regina: le cere dei tre ospiti che fumavano le loro lunghe pipe e quelle dei loro interpreti vennero collocate in uno dei cottage dell'Hameau .
L'ultima udienza dei tre ambasciatori fu tradotta da Sieur Ruffin, il segretario interprete di Luigi XVI, il quale mantenne un tono di voce bassissimo per evitare che i sentimenti espressi dagli indiani contro l'Inghilterra raggiungessero gli inglesi presenti. Gli ambasciatori di Tippoo Sahib partirono il giorno dopo l'annuncio della convocazione degli Stati Generali. Nessuno poteva sapere che quella sarebbe stata l'ultima visita di Stato del regno e nessuno poteva immaginare, mentre salutavano gli ambasciatori il destino che li attendeva. Tippoo-Saïb come punizione per aver fallito nella loro missione diplomatica, fece decapitare i 3 ambasciatori non appena tornarono a Mysore. E tutti gli ospiti e i doni esotici del mondo non potevano mascherare i crescenti problemi domestici della Francia, che sarebbero culminati l'anno successivo nella Rivoluzione e, infine nel Terrore.
L'influenza degli ambasciatori indiani sulla moda
La missione alla fine fu un fallimento diplomatico, ma sarebbe stata ricordata come un fenomeno della moda: sebbene mode fantasiose e tessuti à la turque e à la chinois fossero state indossate in Francia per decenni, era raro vedere da vicino abiti asiatici reali ma soprattutto persone asiatiche.
Il loro tempismo non avrebbe potuto essere peggiore politicamente ma gli ambasciatori arrivarono al momento giusto per coinvolgere il gusto popolare per le mode informali, esotiche e sensuali. Come osservò il conte d'Hézecques, paggio alla corte di Versailles, “Questi straordinari ambasciatori che arrivano dalle estremità della terra suscitano sempre curiosità, e spesso fanno la storia, più per la rarità dell'evento che per l'importanza delle loro trattative”. Sebbene non abbia mai lasciato Mysore, lo stesso Tippoo-Saïb era diventato una celebrità da un giorno all'altro in Francia e la moda giocò un ruolo dinamico nella sua improvvisa ascesa alla fama.
Nella loro incessante ricerca di novità, i mercanti di moda della Parigi del XVIII secolo avevano fatto irruzione in tutto il mondo. Come commentava il Magasin des modes nouvelles nel gennaio 1787: “Nessuno può negare che le nostre Dame francesi abbiano fatto adottare le loro mode alle Dame di quasi tutti gli altri Regni; tuttavia, dobbiamo ammettere che in quasi tutti i casi le stiano semplicemente ripagando. Non le hanno forse prese in prestito dai polacchi, dagli inglesi, dai turchi, dai cinesi? ” "Il gusto asiatico", come veniva chiamato, ebbe un'influenza duratura sfidando le tendenze volubili della moda. Le mode asiatiche si moltiplicarono così tanto fino a che i salotti di Parigi iniziarono ad assomigliare agli harem di Costantinopoli (o almeno così sostenevano alcuni critici francesi). La regina Maria Antonietta aveva aperto la strada. Ad un ballo del 1782, secondo l'osservatrice Eliza de Feuillide, la regina aveva indossato “una specie di abito turco fatto di seta argentata mescolata al blu e interamente rifinita e quasi ricoperta di gioielli. Una fascia e fiocchi di diamanti le circondavano la vita, le maniche erano a sbuffo e delimitate in più punti con diamanti, grandi nodi degli stessi fissavano un velo fluente di garza d'argento; i suoi capelli erano adornati con i più bei gioielli di ogni genere mescolati a fiori e ad un grande pennacchio di piume bianche.” Fantasie alla moda come queste erano raramente copie accurate e filologiche degli abiti asiatici. In genere solo uno o due dettagli potevano essere identificabili come orientali. Le distinzioni tra Vicino ed Estremo Oriente erano vaghe o inesistenti. Una varietà di influenze asiatiche potevano combinarsi in un unico capo.
Madame d'Aguesseau indossa una robe à la turque - Madame Vigée Le Brun, 1789 |
Tutto cambiò quando il partito indiano - composto dai tre ambasciatori, Mohammed Dervich Khan, Mohammed Osman Khan e Akbar Ali Khan, due giovani parenti del sultano e più di trenta servitori - entrò a Parigi il 16 luglio.: "La morale, le abitudini, i costumi di questi indiani sono stati a lungo l'oggetto delle nostre conversazioni, il modello per le nostre mode”, raccontava d'Hézecques.
Secondo il marchese de Bombelles, l'intera corte, insieme a una folla di parigini, si riunì per salutarli e guardarli a bocca aperta. D'Hézecques riferì che gli indiani indossavano costumi “composti da pantaloni larghi e abiti di mussola o panno di cotone, abbastanza fini. Non ho visto ricami d'oro se non sui loro scialli, con i quali si avvolgono più o meno, secondo la temperatura. I loro turbanti non sono alti come quelli dei turchi, ma sono molto più larghi”. (Eleganti turbanti apparvero presto sulle teste delle parigine alla moda.).
Dopo la loro visita a Versailles, gli ambasciatori ebbero un'udienza informale con la contessa du Barry alla quale offrirono alcuni pezzi di mussola, molto riccamente ricamati in oro. Quando Madame Vigée-Le Brun rese visita poco dopo alla du Barry, questa le regalò uno dei dono ricevuti dagli ambasciatori, una superba stoffa con grandi fiori staccati, i cui colori e l'oro erano perfettamente mescolati". Madame Vigée-Le Brun conservò il tessuto per molti anni, portandolo con sé quando fuggì dal paese nel 1789 durante la Rivoluzione francese, e infine facendone un abito da ballo al suo ritorno a Parigi nel 1801.
Già nel febbraio 1788, il Magasin des modes nouvelles aveva predetto: «Senza dubbio, quest'anno la Moda viaggerà in tutti i climi, in tutti i Regni, in tutte le Province e in tutti i Paesi del mondo». I mesi successivi portarono mode che evocavano un assortimento apparentemente casuale di paesi, tra cui Svezia, Russia e Grecia, ma era inevitabile che gli abiti degli ambasciatori ispirassero la moda indiana. Il 20 agosto, la rivista riportava: “Gli ambasciatori di Tippoo-Sultan sono in Francia, e sono stati presentati alla Corte. Non c'è dubbio che devono il loro successo alla Moda. Il loro arrivo è stato piuttosto evidente a Parigi, e rende un'epoca piuttosto degna di nota, provocare qualche nuova moda simile al loro costume o ai loro costumi. ” Come anticipato, il prossimo numero presentava abiti à la Tippoo-Saïb e à l'Indian . Lungi dal somigliare ai costumi indigeni degli ambasciatori, tuttavia, le nuove mode erano indiane solo di nome, onorando gli ambasciatori piuttosto che imitarne le attrattive.
Durante i due mesi successivi, la rivista presentava un berretto-turbante à l'indienne, una cintura bramin e un berretto à la Pondichéri, ulteriori tributi agli ambasciatori. Una moda passeggera per i nastri marroni fu persino attribuita all'influenza degli ambasciatori; come spiega la rivista, “Tutti sanno che il cacao viene dall'India e che il cacao è usato per fare il cioccolato; Gli ambasciatori di Tippoo-Saïb hanno sicuramente creato la moda dei nastri color cioccolato.” Il cioccolato era conosciuto e apprezzato in Francia dal 1660, ma ci voleva un vero sultano per metterlo sulla mappa della moda.
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