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lunedì 14 ottobre 2019

Rosalie Lamorlière

Presunto ritratto di Rosalie Lamorlière.
Di lei non si conoscono ritratti certi ma sappiamo che la figlia di
 Joseph Boze dipinse un ritratto di Rosalie
nel periodo in cui il noto pittore si trovava in carcere.
Non conosciamo molto del suo aspetto fisico, tranne quel poco che
Madame Simon-Viennot riferì dopo averla incontrata per intervistarla nel 1836:
una donna alta e magra e dall'aria solenne che dimostrava molto meno dei
suoi 68 anni. 
"La povera ragazza non ha una storia". Così, un famoso storico dell'Ottocento, Lenotre, riassumeva la vita di Marie-Rosalie Delamorlière.
Tuttavia questa giovane piccarda, il cui ricordo sarebbe svanito dalla memoria dell'umanità al pari di tante altre persone comuni, ebbe un destino che la legò in maniera imperitura al nome di Maria Antonietta. Oggi è quasi impossibile ricostruire con esattezza la sua vita e le sue origini perché la città di Breteuil, dove nacque il 3 marzo 1768, fu praticamente rasa al suolo dai tedeschi nel 1940 e molti documenti, tra cui i registri parrocchiali, andarono perduti per sempre.
Quel poco che sappiamo di Rosalie è che era figlia di un calzolaio e che rimase orfana di madre a 12 anni. Dovette prendersi cura dei sei fratelli più piccoli e iniziare a lavorare molto presto. A 22 anni si trasferì a Parigi proprio in piena rivoluzione andando a lavorare come domestica presso Madame Beaulieu, donna di fede monarchica, il cui figlio era un famoso attore comico dell'epoca.
Per evitare qualsiasi equivoco che in un periodo storico come quello della Francia rivoluzionaria poteva anche portare a spiacevoli conseguenze, abbandonò il primo nome "Marie", eliminando in questo modo qualsiasi connotazione religiosa, e il "De"(larmolière) che non era affatto, nel suo caso, una particella nobiliare ma che avrebbe potuto sembrarlo per assonanza.

Quando Luigi XVI fu condannato a morte, madame Beaulieu, già paralizzata, ne fu annientata. Maledisse i carnefici del re e morì poco dopo. 
Suo figlio raccomandò Rosalie a madame Richard, ex merciaia e moglie del custode della Conciergerie. La ragazza prese servizio nella prigione con molta riluttanza, spinta da Monsieur Beaulieu che conoscendone l'indole caritatevole e la pronta intelligenza, la pregò di accettare un lavoro dove avrebbe potuto essere utile a tante persone oneste rinchiuse nella prigione.

Fu così che Rosalie si ritrovò a lavorare alla Conciergerie proprio nel momento in cui vi veniva trasferita la regina, nell'agosto del 1793.

martedì 20 agosto 2019

Pauvre Jacques

Tra le composizioni attribuite a Maria Antonietta con una certa attendibilità, spiccano tre romanze delicate e nostalgiche:

Portrait charmant del 1774;
C'est mon ami del 1787/1788;
Pauvre Jacques del 1789.
La storia della musica è ricca di brani attribuiti ad alcune teste coronate. A Giovanni IV del Portogallo è attribuita la celeberrima Adeste Fideles. Ad Enrico VIII è attribuita la splendida "Greensleeves" che si dice dedicata ad Anna Bolena (la canzone è citata persino da Shakespeare nelle "Allegre comari di Windsor"). Federico il Grande, ottimo flautista, si dice abbia composto diverse composizioni per questo strumento.
Ma esattamente come nel caso di Maria Antonietta, non vi sono autografi atti a spazzare via ogni ragionevole dubbio sull'autenticità di queste attribuzioni.
Le tre romanze attribuite alla regina sono melodie estremamente semplici, dove le note sono sempre le stesse più o meno ripetute. Maria Antonietta non era certo una musicista professionista ma aveva una buona preparazione musicale. Nulla di strano dunque attribuire una "maternità" regale ad arie così rilassanti, che fanno ambiente senza avere alcuna pretesa artistica.
Nel caso di Pauvre Jacques, tuttavia, alcune testimonianze indicano che non fu composta dalla sovrana, che pare ne abbia scritto solo il testo, ma dalla marchesa de Travanet. Scrive la Baronessa d'Oberkirch nelle sue memorie:
"...Sono legata a Mme de Travanet da una viva amicizia. E' una delle migliori, una delle più spirituali, una delle più affascinanti donne che conosca. E' stata dama di Mme Elisabeth, e non lo è più attualmente. E' lei che ha composto la canzone "Pauvre Jacques", la cui aria e le cui parole sono così toccanti...".

Affettuosamente chiamata "Travanette" da Mme Elisabeth, la marchesa fece parte degli intimi della regina durante i bei tempi del Petit Trianon. Maria Antonietta le chiedeva spesso di trasformare le sue romanze in musica. La storia di "Pauvre Jacques" è entrata nel mito anche perché la canzone divenne popolare durante la Rivoluzione; le sue parole si adattavano bene al destino dei sovrani e i realisti la fecero propria in contrapposizione a canzoni come la Carmagnole o il ça ira.
Fonte di ispirazione per le parole di Pauvre Jacques fu la storia d'amore tra Jacques Bosson, direttore svizzero della latteria a Montreuil di Mme Elisabeth, e Marie-Françoises Magnin.
Madame Elisabeth assiste alla distribuzione del latte nei giardini di Montreuil, sua residenza. (Richard Fleury François, XIX secolo)


lunedì 19 agosto 2019

Abito alla Brunswick

L'abito alla Brunswick, molto di moda in Germania, prese particolarmente piede negli altri paesi come costume da viaggio. Si trattava dei numerosi abiti informali del tardo Settecento, derivati dalla classe operaia ma realizzati con tessuti pregiati, come seta e raso. Esso comprendeva una giacca con scollatura alta e cappuccio e una sottoveste coordinata. Le maniche della giacca erano costituite da una manica superiore con balze al gomito e una manica inferiore stretta al polso. L'abito che ricordava un "caraco à la polonaise" poteva avere una veste corta oppure più lunga, in questo caso prendeva il nome di veste alla "gesuita". In effetti il retro della veste era tagliato in modo da ricordare le vesti sacre. Molto popolare a partire dagli anni '60 del Settecento, la veste fu in voga almeno fino al 1772 con piccole varianti.
 
A seguire alcuni esempi di veste alla Brunswick:
 
Pompeo Batoni - Lady Fox


Alexander Roslin - Ritratto di giovinetta con spaniel
 
Johann Georg Ziesenis -
Ritratto di Guglielmina di Prussia nipote prediletta di Federico il grande e cugina di terzo grado di Maria Antonietta

L'abito di taffetà rosa antico del dipinto di Roslin, potrebbe sembrare una robe à la francaise con la compere (i due mezzi corpetti abbottonati al centro) e le manches en pagode ma il cappuccio non ha niente a che vedere con la robe à la française (appartiene alla categoria delle douillette), a dimostrazione delle tante varianti della veste alla Brunswick.

Stesso discorso per l'abito di Guglielmina: in questo caso si tratta di una redingote in raso operato verde con maniche all'Amadigi (che però saranno di moda solo negli anni '80 mentre il ritratto è di almeno dieci anni prima). Stupisce che fosse portata totalmente aperta sul corpetto (in genere veniva aperta dalla vita in giù). I colori sono quelli amati dalla Pompadour (verde/rosa) che però era già morta da almeno cinque anni dato che il ritratto di Guglielmina è datato 1769. Entrambe le signore hanno acconciature ancora piuttosto contenute (à tete de mouton) ed attardate nel gusto rococò (siamo proprio alla fine del periodo dato che cinque anni più tardi Maria Antonietta inaugurerà le acconciature piramidali).

 

domenica 14 luglio 2019

Riflessioni sul processo della regina

"Per colpire la monarchia, la rivoluzione fu costretta ad attaccare la regina, e nella regina la donna"
(Stefan Zweig)

E' impossibile porre maggiore grazia e maggiore bontà nella cortesia; ella possiede una forma di affabilità che non permette mai di dimenticare che essa è regina e tuttavia persuade sempre che essa lo dimentichi"
(Madame de Staël)

Madame de Stael accanto al busto di suo padre. Firmin Massot (1810)
Nell'agosto del 1793 fu dato alle stampe un testo: "Riflessioni sul processo della regina". L'autrice si definiva semplicemente una "femme", una donna, e  nell'introduzione affermava che il suo nome non poteva essere utile e doveva restare sconosciuto e per ribadire l'imparzialità del suo scritto sosteneva che tra tutte le donne che avevano avuto il privilegio di conoscere la regina, lei era quella che aveva avuto meno di tutti relazioni personali con Maria Antonietta. Le sue riflessioni meritavano dunque fiducia. Oggi noi sappiamo che l'autrice fu una delle candidate a sposare il conte di Fersen che però scelse di non sposarsi. I motivi del celibato furono esposti molto chiaramente in una lettera del conte a sua sorella: "Ho preso una decisione. Non voglio contrarre legami coniugali: sono contrari alla natura... Non posso appartenere alla sola persona alla quale voglio appartenere, quella che mi ama davvero, perciò non voglio appartenere a nessuna".

Nonostante Anne-Louise Germaine Necker, meglio nota come Madame de Staël (questo il nome dell'autrice delle riflessioni), avesse quindi un motivo più che valido per portare rancore alla regina, ella scrisse un testo memorabile in sua difesa, da vera femminista ante litteram, profetizzando ai francesi il “rimorso collettivo” puntualmente avveratosi.


lunedì 8 luglio 2019

Ero una regina e mi hanno tolto la corona...

"Ero una regina e mi hanno tolto la corona, una moglie e hanno ucciso mio marito, una madre e hanno portato i miei bambini lontano da me, mi è rimasto solo il mio sangue. Prendetelo. Ma non fatemi soffrire a lungo". 


Questa frase viene spesso attribuita a Maria Antonietta e oltre ad essere frequentemente condivisa su web, è possibile trovarla in alcuni libri di storia dell'Ottocento. Il breve discorso viene solitamente posto dopo la lettura della sentenza di morte di Maria Antonietta, quando le fu chiesto se avesse qualcosa da dire.
Dai verbali del processo è noto invece che Maria Antonietta pronunciò un discorso molto diverso:

"Ieri non conoscevo i testimoni, non sapevo cosa loro avrebbero testimoniato contro di me, e nessuno ha prodotto contro di me alcun fatto positivo, finisco osservando che ero solo la moglie di Luigi XVI, ed era necessario conformarmi alla sua volontà ". 

Quando alla regina fu domandato, dopo la sentenza di morte, se avesse qualcosa da dire, ella scosse solo il capo in segno di diniego e a testa alta uscì dalla sala.

Ma allora la frase da che cosa ha origine? La frase proviene da una pubblicazione del 1794 "Marie Antoinette d'Autriche, Reine de France, ou Causes et Tableau de la Revolution". Il testo fu scritto dal Cavalier Nicolas de Maistre, un nobile francese che viveva come emigrato in Austria. Il libro di de Maistre condanna la Rivoluzione e narra delle tribolazioni di Maria Antonietta e del suo processo. De Maistre, non poteva conoscere all'epoca i verbali del processo della regina, così immaginò la sovrana che in sua difesa pronunciò questo breve e intenso discorso. 

martedì 4 giugno 2019

I guanti

Particolare di un ritratto di Maria Carolina eseguito da Mengs
Può sembrare strano ma sono pochissimi i ritratti in cui la regina indossa un paio di guanti. La ragione, specie per quanto riguarda i ritratti ufficiali eseguiti da Madame Le Brun, può risiedere nel fatto che Maria Antonietta era molto orgogliosa delle sue mani che metteva in risalto indossando gli amati braccialetti; per questo motivo le bellissime mani della regina venivano quasi sempre ritratte nude in tutto lo splendore della loro perlacea bianchezza.

Eppure il guanto era un accessorio cui la regina non poteva certo rinunciare essendo da secoli, fin dai tempi di Caterina de' Medici, considerato indispensabile nel guardaroba di uomini e donne.