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venerdì 5 giugno 2015

Léonard

Léonard acconcia Maria Antonietta.
Immagine tratta dalla copertina del libro
"Souvenirs de Léonard"
Scrive Madame de Genlis a proposito di Léonard: "Léonard arrivò: arrivò e divenne re"
Una sera, all'Opera, Maria Antonietta vide una cantante acconciata da Léonard e lo volle conoscere. E' curioso notare che anche Sissi, un secolo più tardi, avrebbe affidato la sua chioma a Fanny Angerer, pettinatrice al Teatro della Hofburg, il Burgtheater, ideatrice di acconciature per le attrici dell'epoca.

Le pettinature alte e incredibili create da Léonard venivano esibite solo sul palcoscenico e fu la regina ad introdurle a corte. Le vecchie dame gridarono d'orrore: come poteva la regina di Francia affidare la sua testa ad un uomo che toccava anche i capelli di mademoiselle Guimard o di qualsiasi altra grue del Palais-Royal?
Ma la regina non rinunciò al suo Figaro, del resto le pettinature ideate da Léonard erano veri e propri capolavori architettonici e Maria Antonietta non sarebbe stata regina se non fosse stata la prima in ogni follia.

Già negli ultimi anni di regno di Luigi XV era stata attribuita un'importanza sempre maggiore alle chiome femminili e ai loro ornamenti e le dame di corte si erano man mano abituate a stare pazientemente in posa mentre i loro capelli venivano avvolti in rotoli di carta, arricciati con ferri caldissimi, inumiditi con succo di ortica, pettinati e ripettinati e infine incipriati con una mistura nutriente a base di radici di rosa, legno d'aloe, corallo rosso, ambra, fagioli e muschio. Per diversi anni le chiome femminili erano aumentate sempre più d'altezza mediante l'aggiunta, ai capelli naturali, di capelli finti. Prima dell'avvento di Léonard, Legros de Rumigny, parrucchiere ufficiale alla corte di Luigi XV, e in particolare di Madame de Pompadour, aveva già pensato ai "pouf" e ne aveva creato qualcuno per la marchesa.



Maria Antonietta in un ritratto di D'Agoty con
un tipico "pouf"
Con l'aiuto di forcine giganti e di abbondante rigida pomata i capelli venivano dapprima tirati su verticali dalla radice, "alti tre volte un berretto da granatiere prussiano, e poi solo lassù, nel puro spazio, mezzo metro sopra il livello degli occhi, cominciava la vera creazione dell'artista."

Su questi «poufs» di capelli venivano modellati non solo interi paesaggi e panorami, con frutta, giardini, case e velieri con il mare in burrasca ma anche, simbolicamente, gli eventi politici e mondani dell'epoca.
Quando morì Luigi XV, per esempio, nacque la pettinatura “Alle delizie del secolo di Augusto” (Augusto nel 1774 era Luigi XVI) e comparvero le pettinature del “tempo presente o alla circostanza”; quando Beaumarchais pubblicò nel 1775 le sue memorie nelle quali si trova il famoso “ Qu'es - aco, Marin?" subito spuntarono i quasacos; dopo il grande successo dell' Ifigenia di Gluck, Léonard inventò una «coiffure à la Iphigénie », guarnita di nastri neri a lutto e dell'arco lunare di Diana; quando il re si fece vaccinare contro il vaiolo, quell'avvenimento ricomparve sulle chiome quale «pouf de l'inoculation »; in seguito all'insurrezione americana subito trionfò la pettinatura della libertà; durante la carestia le panetterie di Parigi vennero saccheggiate e l'avvenimento fu celebrato con i «bonnets de la révolte».

Un'acconciatura à la belle poule
Le acconciature alla moda richiedevano la collocazione sulla cima del capo di grandi cuscinetti di crine di cavallo, da ricoprire con capelli veri e finti pettinati in modo da formare una sorta di piramide; per tenere il tutto in equilibrio bisognava fissare le complicate acconciature con lunghi spilloni.

A poco a poco le chiome giunsero ad un'altezza tale che le dame non poterono più star sedute nelle loro carrozze ma erano costrette ad entrarvi in ginocchio; i vani delle porte vennero elevati perché le dame in grande acconciatura non fossero sempre costrette a curvarsi passando. Una delle più fantasiose acconciature a piramide di Maria Antonietta dovette essere smantellata e poi rifatta perché la regina potesse partecipare a una serata.

Immagine satirica di Matthew Darly, 1776
Le suddette creazioni richiedevano ore e ore di lavoro e naturalmente dovevano essere preservate per il maggior tempo possibile, il che significava che il cuoio capelluto, soggetto a pruriti e sudore sotto quel pesante carico, doveva essere protetto con pomate. Ma le pomate, essendo composte di materie organiche, diventavano rancide in pochi giorni (Léonard nelle sue memorie parla di una mistura di fagioli schiacciati, ambra sciolta con polvere di corallo), e al fetore che emanavano si aggiungeva il tormento degli spilloni.

Coloro che criticavano le acconciature a piramide facevano notare che esse provocavano un eccessivo afflusso di sangue al capo, che a sua volta causava mal di testa, affaticamento della vista ed erisipela. I capelli cadevano, i denti dolevano, e fra i riccioli prosperavano pulci e pidocchi; le gentildonne portavano con sé lunghe e sottili bacchette con una manina d'avorio a una delle estremità, che servivano loro per grattarsi il cuoio capelluto.

Ma l'effetto prodotto da quegli splenditi edifici in cima al capo, per ridicoli che fossero, controbilanciava ogni fastidiosa sofferenza, quello che importava era essere alla moda. Di notte, scrisse Louis-Sébastian Mercier, acuto osservatore della società del tempo, “l'intera costruzione viene compressa per mezzo di una sorta di tripla fasciatura sotto la quale scompare tutto, capelli finti, spilloni, tintura, pomata, e infine la testa, di dimensioni triple rispetto a quelle naturali, e dolente, si posa sul cuscino avvolta come un pacco, cosicché anche nel sonno l'opera preziosa del parrucchiere viene rispettata.”

Anche nelle altre corti si scimmiottavano le pettinature lanciate da Léonard anche se il loro svettare non raggiunse mai l'elegante follia di quelle francesi.

Celebre è la testimonianza del marchese De Sade che visitò Napoli nel 1776: "A Napoli, tutti vanno vestiti alla francese, ma con cattivo gusto! L'uso degli uomini è di portare quasi sempre il cappello sulla testa, vestiti o no. Quanto alle donne, non è in altezza nè in lunghezza che si pettinano: è in larghezza. Non è sorprendente vedere delle arricciature dai diciotto ai venti pollici di larghezza. Quanto è lontano tutto ciò dal gusto dal gusto disinvolto che noi conosciamo così bene in Francia, e che fa lo charme della vita. Il gusto dei toupets più che salire verso l'alto come anni fa a Parigi si è esteso, e lo si prolunga così prodigiosamente dietro alla testa, che il cappello non riesce a coprirne che la metà, il che lascia spazio a una specie di cuscinetto dietro, con l'effetto più ridicolo".



Certamente anche a Napoli i capelli costituivano il clou dell'eleganza e della sensualità femminile ma i parrucchieri di grido del regno non erano in grado di eguagliare la grazia di Léonard, così Maria Carolina ottenne dalla sorella che il divin parrucchiere andasse di persona ogni anno a Napoli per acconciarla e svelarle i segreti della sua arte.

Maria Antonietta nel particolare del ritratto di Josef Hauzinger
Qui in basso le diverse  fasi preparatorie di un'acconciatura piramidale(1):
al centro del capo veniva posta un'armatura in ferro con imbottitura, al cui interno veniva posto un piattino contenente sostanze che attirassero i parassiti come sangue animale e miele, in questo modo i parassiti rimanevano appiccicati all'intruglio e non potevano disturbare il cuoio capelluto. Sulla parte alta dell'acconciatura, per "chiuderla", si ricorreva a posticci nonché al vero e proprio pouf fatto di stoffe e decorazioni. (Anche le trecce e i boccoli pendenti in linea di massima erano posticci). Per queste acconciature tipiche del periodo 1774-1778 la base fondamentale per l'ottima riuscita dell'opera era la lunghezza del capello, che doveva coprire il più possibile il castelletto. E, infatti, la moda dell'acconciatura piramidale terminò con la nascita di Madame Royale, quando i capelli della regina si indebolirono per lo stress e lei decise di tagliarseli molto più corti lanciando in questo modo una nuova acconciatura, morbida e cotonata visibile nel famoso dipinto con la rosa, detta à l'enfant.



















Un ritratto di Alexis Autié, in arte "Léonard"
Più tardi Alexis Autié (il vero nome di Léonard) aprì un salone a Parigi e fu costretto ad assumere un centinaio di assistenti per far fronte a tutte le richieste. Nelle sue memorie si vanta di aver fatto stare tra i capelli della regina circa 20 metri di garza! Con l'apertura del suo salone, Alexis si dedicava alla sovrana solo la domenica e nei giorni di festa. Nei giorni normali la regina veniva acconciata dal cugino di Léonard, Villenoue detto il 'bel Julien', e dal fratello, l'altro Léonard, Jean-François Autié.
Alexis si sposò, ebbe tre figli e si dedicò anche al teatro aprendo una compagnia con il violinista Viotti, che si esibiva alle Tuileries con la protezione del conte di Provenza. Con la Rivoluzione si trasferì a Londra e si separò dalla moglie. Lo ritroviamo in Russia e infine alla corte di Luigi XVIII come valet de chambre. Morì nel 1820 ed è sepolto nel cimitero di Pere Lachaise.

Il fratello di Alexis, Jean-François, è il Léonard più rocambolesco. Seguì la famiglia reale alle Tuileries e divenne amico e confidente di Maria Antonietta; nei giorni della fuga a Varennes, fu mandato avanti con la marsina imbottita di gioielli, ma alla notizia dell'arresto della famiglia reale cadde preda di un attacco isterico e si fece scoprire. Morì ghigliottinato assieme al poeta Andrea Chénier ma c'è un passo nel libro di Cesare Giardini "Luigi XVI e Maria Antonietta" in cui si legge questo:
"A Monsieur Leonard, l'uomo la cui intrusione nel dramma di Varennes fu tanto fatale, capitò qualche cosa di abbastanza lusinghiero se non d'assolutamente desiderabile: egli, che aveva trattato a sua guisa le teste più frivole di Francia, venne condannato a lasciare la sua, non meno frivola di quelle, sul patibolo nella stessa infornata di Andrea Chénier. Ma evidentemente egli non sentì la portata dell'onore che il destino voleva fargli, e riuscì a svignarsela. Non si sa bene come: di certo non v'è se non una cosa: che quel giorno la sorte aveva stabilito di salvare uno dei clienti di Sanson. Dovendo scegliere una testa da sottrarre al carnefice, sarebbe stato meglio ch'essa si fosse voltata verso quella d'un giovane poeta che aveva già scritto alcuni dei più bei canti della poesia francese. Invece scelse Léonard. Ma non si può dire se Léonard non abbia avuto modo d'aiutare la fortuna. Il parrucchiere, dato per giustiziato nei primi giorni del messidoro dell'anno II della repubblica, rientrò in Francia vegeto e sereno dalla Russia nel 1814. Per Lenotre, questo mistero getta singolari ombre sulla figura del parrucchiere di Maria Antonietta. Non bisogna dimenticare che, durante la sua corsa disastrosa da Pont-de-Sommevelle a Stenay, egli portava i gioielli della regina. Ora, nessuno seppe mai dove questi gioielli andassero a finire. Léonard, è vero, li consegnò a Bouillé, che, a sua volta li affidò a uno dei suoi ufficiali. Ma il giorno dopo l'ufficiale in questione fu misteriosamente assassinato; quanto alla preziosa cassetta, essa sparì definitivamente. Léonard, riparato a Strasburgo, non rientrò subito in Francia e quando si decise a tornare , non fu menomamente inquietato, sino al giorno in cui, durante il Terrore, qualcuno trovò che le sue antiche relazioni con la Corte ne facevano un uomo sospetto. Il Lenotre pensa che se, al momento dell'arresto, Léonard avesse avuto in suo possesso i diamanti di Maria Antonietta (cosa non del tutto impossibile), quel suo sottrarsi al supplizio non sarebbe la cosa straordinaria che appare....Quando Sanson aveva ricevuto dal tribunale la lista dei condannati, badava soprattutto al numero, senza preoccuparsi gran che dell'identità delle vittime. Così che il giorno del supplizio di Andrea Chénier, qualcuno fu ghigliottinato sotto il nome di Jean François Autié, detto Léonard. Léonard non fece mai confidenze su questo argomento, e ciò, trattandosi d'un guascone (egli era nato a Pamiers) e d'un parrucchiere, non può non sembrare singolare: essere stato ghigliottinato a Parigi e godere d'un'ottima salute a Mosca o a Pietroburgo, è avventura abbastanza originale per spingere chi l'ha vissuta a narrarla."

Maria Antonietta con un acconciatura
ideata da Léonard, che la regina portò
alle Tuileries nel 1791
Giardini ha chiaramente fatto confusione, e come non farne senza sapere che Léonard non era altro che il nome d'arte di una famiglia di parrucchieri? Il primo Léonard, quello che aveva il salone a Parigi e che ci ha lasciato interessanti memorie sulla regina, riparò effettivamente in Russia e tornò in Francia solo nel 1814. Egli lasciò scritto che a Versailles, dopo la partenza dei sovrani il 6 ottobre, nulla sembrava cambiato negli appartamenti della regina. C'erano per terra le pantofole di Maria Antonietta, uno scialle e le calze di seta rivoltate a metà. I pannelli dorati erano stati profanati e il vento di quella giornata burrascosa soffiava attraverso la porta brecciata. Quel giorno alcuni diplomatici si erano recati a Versailles per un ricevimento, ignari di quanto fosse accaduto, e vi trovarono il caos più totale: bande di saccheggiatori con reliquie sanguinolente, il castello sembrava sotto l'effetto di un sortilegio.

Il secondo Léonard, quello dei gioielli (2), morì veramente con Andrea Chénier ed è sepolto nella fossa comune del cimitero di Picpus. 
Nella biografia di Spinosa dedicata a Paolina Bonaparte si legge che anche lei era acconciata da un parrucchiere di nome Léonard, probabilmente il terzo fratello, Pierre.

Una ricevuta rilasciata da Pierre Léonard, uno dei fratelli Léonard, a madame Elisabeth. Sulla  ricevuta c'è il nome di Marguerite Rosalie Le Guay, la moglie di Pierre
Note: 
(1) Parrucche realizzate da "Lia Parrucche" di Legnano.
(2) Jean-François Léonard ebbe la sua parte di colpa nel fallimento di Varennes. Quando la berlina reale cominciò ad accumulare ritardo sul programma di marcia, Choiseul decise (inspiegabilmente) di mandare avanti Léonard con il suo cabriolet per avvisare le varie postazioni del ritardo della Famiglia Reale, ma Léonard invece che chiarire alle truppe il motivo del ritardo, si limitava a gridare ai soldati «per oggi non arrivano!»... e visto che in alcuni posti la presenza di soldati svizzeri di Bouillé cominciava a destare malumore nella popolazione, che non tanto era avversa al Re, ma piuttosto temeva l'invasione delle truppe austriache, spauracchio diffuso dai giacobini, alle parole del parrucchiere rompevano le righe andando a divertirsi nelle locande o se ne andavano direttamente dalle postazioni.
Quale fu la sorpresa ed il terrore della Famiglia Reale mentre si avvicinava sempre più a Varennes, non trovare nessuna delle truppe che dovevano essere schierate per proteggerli ad un certo punto del viaggio!
Qualcuno potrebbe domandarsi perché la Regina scelse proprio Léonard: semplicemente perché i sovrani non volevano “fuggire”, ma si stavano recando, in incognito presso la roccaforte di Montmédy. La data della partenza non era stata scelta a caso: giunti a Montmédy il mercoledì 22, il giorno seguente, giovedì 23 giugno, Solennità del Corpus Domini, il Re avrebbe passato in rivista le truppe, eccitato gli animi, inebriato gli spiriti per tornare alla riconquista della riottosa Parigi che da figlia malvagia si era rivoltata contro il suo Re, che solo l'anno prima era stato proclamato «Padre della Nazione». Del resto già altri Re erano usciti da una riottosa Parigi per poi ritornarci da vincitori: Enrico III, Enrico IV, Luigi XIV al tempo della Fronda... perché non vi sarebbe dovuto riuscire anche Luigi XVI?
Per l'occasione, nel bagaglio per il viaggio, si trovava anche il gran abito da cerimonia che il Sovrano aveva usato nel 1786 per l'inaugurazione del porto di Cherbourg. Maria Antonietta doveva quindi comparire non meno splendida accanto al marito, ed ecco perché aveva affidato i suoi diamanti a Léonard.
Nella scena finale del bel film di Ettore Scola «La Nuit de Varennes» (in italiano «Il Mondo Nuovo», 1982), dopo che i Sovrani vengono arrestati a Varennes, la contessa Sophie de la Borde, dama d'onore della Regina, che ha seguito i Sovrani a bordo di una carrozza da viaggio, portando un misterioso pacco, nella sua stanza d'albergo estrae da questo l'abito del Re e ne veste un manichino, alla presenza di Restif de la Bretonne, Giacomo Casanova e Thomas Paine, il quale esclama che davanti ad un sovrano che si fosse presentato nella maestosità e gloria di quell'abito, nessuno avrebbe avuto il coraggio di fermarlo.
 

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